12. Puzzle Pieces

74 8 16
                                    

Pardon me but there's a part of me
That feels something's missing
Are we living or are we just dying?
Framing Hanley

Sono entrambi in silenzio, seduti sul letto l'uno di fronte all'altra. La sveglia segna le nove di sera. Non aveva mai visto Ezra piangere, non pensava che l'avrebbe mai visto.
La camera è piena di vestiti buttati per terra e c'è un posacenere da cui ancora esce un filo di fumo sul davanzale.
Desirée vorrebbe consolarlo, ma le parole non le escono dalla bocca. Posa una mano sulla sua guancia e delicatamente asciuga le lacrime che scendono, una per una.
Osserva attentamente ogni dettaglio.
Il dolore è così fuori luogo su quel viso da angelo.

-Scusami.
Le prime parole che il ragazzo pronuncia da quando è entrato in casa somigliano più a un sussurro.
Il cuore di Desirée batte più forte.
-Non preoccuparti.
Ezra le risponde alzando solamente gli angoli della bocca, in una specie di sorriso forzato.
Sa che non è facile per lui esprimersi, quando si parla di sentimenti. Dalle sue espressioni non traspare quasi mai nulla, né paura, né gioia o qualsiasi altra emozione che non sia la sicurezza di sé. Solo quando perde il controllo si riesce ad avere una vaga idea del vero Ezra e quindi, solo quando è ubriaco o fatto.
Ma è proprio quando è ubriaco o fatto che a Desirée fa più paura.

-Sembro proprio un coglione.
-Non è vero.
Il ragazzo chiude gli occhi e non risponde più. Desirée rimane a guardarlo mentre lui cerca di frenare le lacrime, le labbra serrate e i pugni che stringono con forza le coperte.
Le fa così tanta tenerezza.

-Sai, non è la prima volta che succede.- dice aprendo lentamente gli occhi.
-Succede cosa?
-Mi sta scappando tutto dalle mani. La vita mi sembra come la sabbia, scivola via.
-Forse dovresti smettere di cercare di afferrarla.
Ezra scoppia in una risata, Desirée sente le guance andarle a fuoco.
-E cosa dovrei fare?
La ragazza si stringe nelle spalle.
-Prendila come viene.

Desirée si rende benissimo conto della cazzata che ha appena pronunciato. Lei stessa non è in grado di affrontare la propria vita. Non riesce a confessare a sua madre i litigi con il padre, non riesce a parlare a Dean dopo quello che è successo, non riesce a non andare al negozio per ritirare le schedine, non riesce a ignorare il buco nello stomaco che si porta dietro da mesi. Ora, non riesce a ignorare il bel viso di Ezra, la sua voce, la sua manifesta fragilità.
Non è come fare un torto a Dean?
A Bruce?
Si vergogna per aver permesso a quel ragazzo di toccarla.

-Ah, ragazzina. Ci sono tante cose che non sai.
-Spiegamele.
-Assolutamente no.
Ezra si stropiccia gli occhi ancora lucidi. Sono rossi, gonfi.
-Perché no?
-Perché è meglio così. È meglio che tu non le sappia.
La ragazza non risponde, lo fissa e basta.
Perché deve trattarla come una bambina? Come se non lo avesse già visto fare cose orrende.
Potrebbe elencarle e numerarle, sicuramente lo stupro sarebbe al primo posto.

-Sei così perché la tipa ti ha mollato?- cambia discorso, dopo una lunga pausa.
-Non ho una tipa.
-Sai, non dovresti fare questo a Dean. Siete amici.
-Non siamo amici, siamo conoscenti.
-Come noi?
-No, noi-- si ferma un attimo e scuote la testa -Che cazzo ne so di cosa siamo noi.
Desirée ignora il nodo alla gola e continua, a voce più bassa, praticamente un sussurro.
-Dean ci sta male.
-E quindi? Mica la costringo o altro.
-No, però...
-È un passatempo.- taglia corto l'altro.
Desirée schiude le labbra.
È la prima volta che parla seriamente con Ezra. La prima volta che discutono faccia a faccia in un posto che non fosse il cortile della scuola. È così diverso da Dean. Con lui è facile: è triste, arrabbiato o vuole qualcosa? Lo vedi. È un libro aperto, è impulsivo.
Ezra, al contrario, è completamente vuoto. A volte l'assale l'angoscia quando pensa a quanto sembri non provare nulla. Non riesce però a spiegarsi da dove venga il bisogno di abbracciarlo e consolarlo che prova in questo momento.

Continuano a guardarsi ancora per qualche minuto.
Il silenzio è pesante, pieno di cose che dovrebbero essere dette.
Ezra è il primo che si alza.
-Vieni, prendiamo la tua macchina, ti porto in un posto.
Non protesta neanche, lascia che lui le prenda la mano e la porti fuori dalla camera, giù per le scale, oltre la sedia dove è addormentato suo padre, ubriaco. Oltre la porta d'ingresso, fino alla macchina.

Desirée non parla per tutto il tragitto. Ha la testa che le gira da quanto è confusa. Tutto quanto sembra un sogno. Un bel sogno.

Sono seduti con i piedi che sfiorano l'acqua, sul cemento del porto di Baltimora. Desirée era stata lì parecchie volte, ma sempre da sola e alla luce del sole.
Ora l'unica luce è quella che viene dalle insegne luminose dei locali alle loro spalle, le voci della gente sono un mormorio.
La piccola passerella buia è uno dei pochissimi posti nascosti dalla gente.

-Mio padre mi portava qui spesso. Aveva una barca.
La ragazza si volta verso Ezra e lo vede guardare un punto indefinito all'orizzonte, mentre parla.
-Che figata.
-Sì, lo so. Aveva cercato di insegnarmi a guidarla.
-E hai imparato?
-No. Sono il suo più grande fallimento, Desi.
-Perché dici così? Non è vero.
Ezra scuote la testa.
-Tu sei adottata e non puoi capire.
Desirée si guarda i piedi, le scarpe sgualcite e i pantaloni troppo lunghi. Aveva sempre sognato una barca, come la hanno altre ragazze a scuola.
-No, non posso capire.
Altro silenzio. Ma questa volta è un silenzio carico di tensione.
Se solo fosse ricca come lui, non avrebbe nulla di cui preoccuparsi, invece si presenta in lacrime a casa sua e si permette addirittura di trattarla in malo modo.
Però, non si alza. Non lo lascia lì, anche se vorrebbe.

-Non è colpa mia se mi hanno adottata.- sbotta.
-Ti trattano bene?
-Oh, certo, lo hai visto mio padre.
-Non è tuo padre.
-Sì, il mio... Hai capito.
Ezra scuote la testa, prima di parlare con voce calma.
-Lui non c'entra niente con te, hai capito? Quello che fa, non vuol dire nulla. Tu sei tu, non hai una goccia del suo sangue dentro di te. Lui è un fallito, non tu. Ficcatelo in testa, bambina.

Ora è Desirée quella che piange.
Piccole lacrime che brillano alla luce della luna.

Ezra le offre una sigaretta. Si asciuga con la mano, in silenzio. Le gocce hanno bagnato la maglietta.
Le parole del ragazzo le hanno sconvolto lo stomaco e stretto il cuore, ma sente anche che un peso opprimente le è stato tolto dal petto.
La luce dell'accendino illumina per qualche secondo il sorriso che Ezra ha stampato sulla faccia.
-Sei bella pure quando piangi.
Le guance di Desirée vanno di nuovo a fuoco.
Migliaia di pensieri si affacciano alla sua mente, confusi e ingarbugliati.

-Grazie.- dice semplicemente, aspirando il fumo.
E si maledice di nuovo, per essere così debole.

𝐀𝐏𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐂𝐀𝐔𝐒𝐄 𝐏𝐄𝐑𝐒𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora