11. Daddy Issues

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Go ahead and cry, little boy
You know that your daddy did too
You know what your mama went through
You gotta let it out soon, just let it out
The Neighborhood


Per Ezra non era mai stato facile fare ordine nei suoi pensieri. Non era mai stato molto facile neanche ignorare i suoi bisogni, i suoi desideri. Tutto si confonde e si sovrappone nella sua mente, il suo corpo chiede sempre di più. Soprattutto, chiede qualcosa che non può avere.
E il cercare nuove distrazioni sembra l'opzione migliore, fino a rischiare più volte di arrivare al punto di non ritorno.
Ma non l'ha mai raggiunto. E questo perché è migliore di chiunque altro.
Un sorriso gli si dipinge sulla faccia.

-Ehi, mi stai ignorando?- la voce della ragazza interrompe i suoi pensieri. Sono seduti sul letto di camera sua, è raro che inviti qualcuno a casa.
Lei passa la mano davanti agli occhi del ragazzo e schiocca le dita. Si rende conto di essersi fermato a guardare il vuoto nel bel mezzo di una conversazione.
-Continua, cosa avete fatto dopo essere entrati?- Lei lo incalza, vuole ancora sentire il resto del racconto.
-Non ha più importanza.
Ezra le prende il polso con forza. Vuole che stia zitta, perché la testa gli fa male e la sua voce è assordante. Lei emette un piccolo gemito per il dolore.
La bacia.
Sa di rossetto e gomme da masticare.

È del tutto inutile, come sempre.
Ha un peso sul cuore che non riesce a far andare via.

Si alza e la tira dal braccio giù dal letto. Sono entrambi a piedi nudi sul grosso tappeto al centro della camera. Ezra le accarezza dolcemente i capelli.
-Vai via.
Lei lo guarda, i grandi occhi color nocciola spalancati.
-Perché? Ho fatto qualcosa di male?
-No.
-E allora?
-Vai via e basta.
Martha si china con un sospiro a prendere le scarpe col tacco buttate sul pavimento e il ragazzo si abbassa leggermente per guardarle sotto la gonna.
Carina, si è vestita bene solo per uscire con lui.
-Sei uno stronzo, Ezra.
-È stato un piacere, principessa. Sai dov'è l'uscita.
Le fa un inchino profondo, prima di chiudere la porta della camera dietro di lei.
Silenzio.

Quando è sicuro che se ne sia andata, si infila una maglia e scende al piano di sotto, dritto verso la cucina.
Aver passato la mattinata con Luk l'ha stancato e il pensiero di dover andare a cercare quelli che hanno provato ad ammazzarlo gli dà il voltastomaco. Per quanto sia affezionato a quel ragazzone, non può continuare a salvargli il culo ogni volta che fa qualche cazzata, soprattutto se la cazzata in questione è un altro omicidio. A tempo debito, risolverà tutto. Apre il frigo con un sospiro e prende del burro di arachidi, per farsi un panino.
Si sente esausto, gli occhi gli bruciano e vorrebbe solo passare la sera a dormire.

In quel momento la porta d'ingresso si apre.
Ezra si volta, il cuore in gola.
Una donna entra a passi veloci, i tacchi battono sul pavimento di legno. I suoi capelli sono neri e lunghi, la pelle pallida e il corpo avvolto in un cappotto rosso.
-Ezra.
-Ciao, Gwen.

Gwendolyn Hall lo guarda, col telefono in una mano e le chiavi della macchina nell'altra. Ezra fissa un punto non definito del pavimento, il vasetto di burro è caduto a terra.
Sa che sua madre odia guardarlo negli occhi. Sono azzurri come quelli di suo padre.
-Ho visto la ragazza che è uscita.- la donna rompe il silenzio.
-È una mia compagna di scuola.
-Beh, niente sgualdrine in questa casa, finché ci sono io. Ho ancora una reputazione.
-Okay, Gwen.
-C'è anche Gale a cena. Renditi presentabile.
Ezra apre la bocca, ma non esce alcun suono.
-E chiamami "mamma", per l'amor di Dio, come le persone normali.
La donna lo supera, dando un calcio al vasetto sul pavimento, che rotola rumorosamente fin sotto la credenza.
Gli occhi del ragazzo si riempiono di lacrime, che però ricaccia indietro.
Quelli come lui non piangono mai.

Passa il pomeriggio chiuso in camera.
Sente sua madre al piano di sotto, impegnata in diverse chiamate. Urla e dà ordini a qualcuno al telefono. Ezra si copre le orecchie e chiude gli occhi, sperando che quando li riapra siano spuntati due grammi di coca sul tavolo davanti a lui.
Lo ripete per due volte, prima di arrendersi.
Si sdraia sul letto e si accende una sigaretta, lasciando che la cenere rovini il legno del pavimento.
Una piccola vendetta.

Improvvisamente si riapre la voragine nel petto ed è costretto a mettersi seduto. Gli manca il respiro, si porta una mano sul cuore.
Prende il telefono e con le dita tremanti compone il numero di Desirée. Ha voglia di sentire la sua voce, vuole chiederle se può andare da lei a cena, chiederle di salvarlo dall'angoscia che aleggia in quella bellissima e fredda casa.
Poi si guarda le mani e viene pervaso da un senso di imbarazzo e timore. Butta il telefono dall'altra parte del letto.

È sceso per cenare, nonostante non volesse.
La grande tavola apparecchiata solo per tre fa quasi ridere. È abituato ad avere ospiti.
Sta guardando fisso, con gli occhi quasi socchiusi, il compagno di sua madre.
Somiglia a suo padre. Stesso portamento, stesse espressioni. Forse è per quello che lo disgusta tanto.
Lo stomaco gli si chiude e deglutisce a fatica il boccone.
Gwendolyn e l'uomo parlano tra di loro, senza preoccuparsi del ragazzo seduto poco distante, come sempre. Sua madre sembra così felice, nonostante tutto. Passano interminabili minuti, Ezra finisce due bicchieri di vino e si mette a giocare con il cibo nel piatto, finché non decide di alzarsi.

-Dove stai andando?
Finalmente gli rivolgono la parola, anche se la voce autoritaria dell'uomo lo fa gelare sul posto.
-In camera.
-Non ti hanno insegnato l'educazione, ragazzino?
-Non sono cazzi tuoi.
Uno schiaffo gli arriva dritto in faccia.
Ecco in che cosa è più simile a suo padre. Non nel portamento, non nelle espressioni, ma nella gioia che prova a prenderlo a botte.

Almeno il dolore gli ricorda che è ancora vivo e capace di provare qualcosa.
Paura.

Ezra si ritrova con la guancia rossa, ma resta in piedi e fermo al suo posto.
-Fuori dalla mia vista, subito!
Il ragazzo corre al piano di sopra, prende lo zaino e scavalca la finestra della camera, che dà sul tetto spiovente. Si ferma un attimo e si guarda indietro.
-Andate a farvi fottere entrambi.- sussurra tra sé e sé.
L'ha già fatto innumerevoli volte, saltare da lì è una passeggiata.

Per Ezra, insomma, non era mai stato facile distinguere tra odio e amore.
Dà un calcio alla macchina uscendo dal vialetto.
Neanche buttando le ceneri di suo padre nella spazzatura si era sentito felice, ma i tempi in cui lui e sua madre erano stati da soli li ricorda come i più belli della sua vita.
Tutto era sparito in un batter d'occhio.
L'orgoglio di sua madre, il figlio perfetto, si era trasformato in una vergogna, un qualcosa che provoca imbarazzo.
Ora lei e quella specie di uomo ridono di lui bevendo vino.
Una lacrima solitaria si fa strada sulla sua guancia ancora rossa. L'asciuga con rabbia.
L'amore si era trasformato in odio, la vita in un enorme abisso senza fondo, senza scopo, se non quello di fare qualsiasi cosa gli passi per la testa.
Ha provato ogni tipo di droga esistente, è stato con quasi tutte le ragazze della scuola, eppure non serve a nulla. Non colma il vuoto, se ne rende conto.

Si ferma quando si accorge di essere arrivato, senza volerlo, davanti a casa di Desirée.
Piccola, fatiscente, il contrario rispetto a quello a cui è abituato. Indugia per qualche secondo. Sa che lei non lo considera un amico e che probabilmente non lo farà entrare.
Impulsivamente, bussa. Non sa dove altro andare.

-Chi è?
La voce di lei risuona nell'aria calda della sera.

Le lacrime scendono incontrollabili dagli occhi di Ezra. È bastato quel suono.
La luce al fondo della voragine.






💗È da tanto che volevo scrivere questo capitolo, non mi convince a pieno e non ho mai scritto di problemi familiari, spero sia almeno decente <3 <3
E sì, lui e Desirée sono la mia coppia preferita.

-B.

𝐀𝐏𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐂𝐀𝐔𝐒𝐄 𝐏𝐄𝐑𝐒𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora