27. Hedshot

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Разбегаешься, бежишь вперёд
Опасно... не подумав, что тебя дальше ждет*
Cream Soda

La vita non è facile per nessuno.
Anatolii Sergeevič Pavlov, questo, lo sapeva bene.
Le cicatrici sulle mani, in faccia e sulla schiena raccontavano la sua storia come se fosse un libro aperto.

Iniziò a Mosca, in un piccolo scantinato abitato da topi e con le pareti costellate di manifesti di Stalin.
Lì, Anatolii venne alla luce senza piangere e coi pugni chiusi.
Da quel momento, non avrebbe conosciuto pace.

-Ne volnuysya, dorogaya, vse budet khorosho.**
Furono le ultime parole di sua madre prima di morire davanti ai suoi occhi, nel piccolo letto di ospedale, tra l'odore pungente del disinfettante e i rantoli degli uomini sdraiati accanto a lei. Anatolii sapeva, nonostante avesse solo dieci anni, che il corpo pieno di lividi di Nataša Vasilev non sarebbe tornato a casa con lui quel giorno, non l'avrebbe abbracciato tra le coperte, non gli avrebbe coperto le orecchie per non costringerlo sentire le urla di suo padre.
Stringendo la mano ossuta della piccola donna che l'aveva messo al mondo, aveva giurato che si sarebbe vendicato. Le ferite lasciate dalle cinghiate bruciavano ancora quando arrivò a casa, con un coltello in mano.
Suo padre era morto quella sera stessa.
Anatolii, guardandosi i vestiti logori coperti di sangue, aveva sorriso alla luce della luna.
Ma la sua anima non era ancora soddisfatta.

Due anni dopo, arrivò il 1989.
Con la caduta del Muro di Berlino e il collasso dell'Unione Sovietica, Anatolii si ritrovò buttato in una realtà che non era più la sua. A dodici anni, scappò dal triste orfanatrofio che lo ospitava.
Le mani livide e gonfie per i colpi dati con il bastone, i capelli rasati per evitare che prendesse i pidocchi e gli occhi spenti, vuoti, di chi non ha più niente da perdere. Non osava guardarsi nei riflessi delle vetrine, per paura di non riconoscersi. Aveva con sé solo un piccolo zaino e pochi rubli.
Un bambino, perso per le strade della grande città.

-Ah, mamma, se solo potessi vedere cosa sono diventato.

Rubare era diventato il suo unico scopo.
"Bystraya ruka"*** era il suo soprannome tra i ragazzini dell'Orekhovo**** e lui ne andava fiero. Quelli più grandi gli avevano insegnato come fregare la gente, soprattutto le vecchie straniere e lui si fingeva un orfanello cieco per le strade del centro. Non aveva alternativa se non cercare di procurarsi da vivere in quel modo, in orfanatrofio non sarebbe tornato e la sua popolarità nel quartiere aumentava di giorno in giorno.
Uccise per la prima volta a sedici anni.

Lentamente, cambiò la sua identità.
Anatolii, anticamente, significava "alba", ma lui aveva trovato una nuova via, un nuovo significato alla sua vita, che per quanto agli occhi degli altri potesse essere insignificante o triste, per lui aveva infinito valore. Aveva finalmente un posto in mezzo a qualcuno.
Così decise di farsi chiamare Lukyan, "luce".

Quando fuggì da Mosca, sul documento falso fece scrivere Lukyan Vasilev.
Anatolii era definitivamente morto.

Crescendo per le strade della periferia aveva imparato a non fidarsi di nessuno e a ferire prima che potessero ferire lui.
Così si era procurato un grosso taglio sul palmo della mano, afferrando la lama nuda di un coltello durante una rissa con un altro ragazzo.
Non gli importava che fossero amici un tempo. Glielo aveva conficcato nel petto senza neanche un rimorso.

Si fece crescere i capelli, tagliandoli solo quando capitava, con forbici arrugginite o coltelli non affilati.
Voleva cancellare ogni traccia della sua infanzia.

Ben presto i piccoli furti si trasformarono in rapine a mano armata. Lukyan non se ne era nemmeno accorto di quanto fosse cresciuto. Si era sempre sentito un adulto, poiché era stato l'unica figura di riferimento della sua vita.
Le litigate tra ragazzini si trasformarono in risse violente.
Il bottino delle rapine, da fonte di cibo, era diventato soldi per pagarsi le droghe. Così era successo a lui e a tutti i ragazzi del quartiere.
Una sera quasi inciampò sul suo unico amico, Yuri, che giaceva con gli occhi spalancati, freddo e con la siringa ancora in vena, appoggiato scomposto contro un cassonetto.
Aveva deciso di smettere con l'eroina in quella via, sotto una violenta pioggia.

Lasciò Mosca pochi mesi dopo.
Scoprì a suo malgrado che la popolarità tra ladri e figli di puttana qualunque può essere sia gratificante come estremamente pericolosa.
In quattro lo avevano minacciato di morte, un pomeriggio. Gli avevano puntato una pistola alla tempia.
-Ne poyavlyaysya bol'she mudak*****— pronunciato
dalla voce roca di un biondo alto quasi due metri, cieco da un occhio e armato, fece uno strano effetto a Lukyan.
Fu l'ultima frase in russo che sentì.

In America non conosceva nessuno.
Quando arrivò non sapeva dire neanche una parola, ma non fu difficile per lui, che ormai aveva ventidue anni, trovare lavoretti e vivere di spaccio per i primi mesi.
In poco tempo si ritrovò nella stessa situazione dalla quale era scappato, ma si accorse che gli americani non erano spaventosi quanto i suoi connazionali. Così, arrivò a Baltimora facendo autostop. Doveva essere solo una breve fermata nel girovagare della sua vita. Invece finì con l'incontrare qualcuno.

La prima notte dormì in un parco, sopra una panchina fredda e umida. Aveva i crampi per la fame e tremava. Pensò che sarebbe morto lì, tra la puzza di piscio e il fango.

Invece, fu svegliato da una voce di adolescente, la mattina dopo.
-Chi sei?
Lukyan aprì gli occhi lentamente, per abituarsi alla luce accecante del sole.
-Tu?— pronunciò solamente.
-Il padrone di questa panchina.
-Non c'è tuo nome sopra.
-Come parli male. Di dove sei?
-Cazzi miei.
Il ragazzo dai capelli ricci e scuri gli porse la mano, piccola e curata, come se non percepisse il tono aggressivo di Lukyan.
-Piacere, mi chiamo Ezra.
-Sono Lukyan.— disse stringendogli la mano, confuso dai suoi modi di fare così poco familiari per lui.
-Tieni.
Ezra gli diede qualche banconota e se ne andò senza salutarlo.
Il giorno dopo si incontrarono di nuovo. Poi una terza volta. Una quarta.
Finì che Ezra, ormai non più quattordicenne, gli comprava la coca e la tiravano insieme.
Lukyan lo vide crescere e diventare come lui. Si affezionò in fretta e decise che l'America gli piaceva. Sarebbe rimasto.
A ventiquattro anni il suo spirito senza patria trovò un posto che potesse chiamare casa.

-Luk.— disse una sera che erano entrambi stesi a terra nel giardino di casa sua.
-Sì?
-Mi sembra di conoscerti da una vita.
Luk stette in silenzio.
Ezra si sollevò sui gomiti per guardarlo meglio.
-Facciamo finta di essere amici da quando eravamo piccoli. Tu mi racconti la tua infanzia e io la mia.
Il russo annuì.
Quella notte piansero entrambi. Si ripromisero di non parlarne mai più.

Avrebbe dato la sua vita per proteggere quel ragazzo che lo aveva salvato quando ne aveva più bisogno.
Non era abituato a preoccuparsi per un'altra persona, non sapeva misurare i sentimenti.
A otto anni dalla morte di Yuri, Lukyan aveva ora paura per la vita di Ezra.

Così, per non uccidere Dean, decise di farlo arrestare.

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*Estratto dalla canzone "Hedshot" , il testo vuol dire: "Corri, corri avanti
Pericoloso... non pensare, a cosa ti aspetta dopo"
**не волнуйся, дорогая, все будет хорошо: dal russo "non preoccuparti, tesoro, andrà tutto bene."
***"Mano veloce"
****È un quartiere malfamato di Mosca, con una storia di criminalità a partire dalla metà degli anni '80 del 1900.
*****не появляйся больше мудак: "non farti più vedere, stronzo"

𝐀𝐏𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐂𝐀𝐔𝐒𝐄 𝐏𝐄𝐑𝐒𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora