30. My Tears Dry on Their Own

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Wish I could say no regrets
And no emotional debt
Amy Winehouse

In tribunale lui non ci vuole più andare. Una sensazione di terrore puro e profondo lo attanaglia allo stomaco.
Dean Reed sa di essere fottuto.

Il giorno successivo, il diciassette maggio del duemilatre, sarà sicuramente ritenuto colpevole. Ironico, è anche il compleanno di sua madre.
Sputa per terra, sul pavimento di cemento della cella, accanto ai propri piedi.
-Cazzo mamma, era questo che intendevi quando dicevi di volermi fuori di casa?

Si guarda le mani, che adesso odia ancora di più e immagina di stringerle attorno al collo del giudice. Odia tutto di se stesso adesso, i capelli che man mano stanno tornando del suo colore naturale, il livido gonfio sullo zigomo e il labbro spaccato per la rissa di ieri con un altro carcerato, le vecchie cicatrici orizzontali sui polsi e sulle cosce che ora tutti possono vedere quando si lava nelle docce comuni.
È lì da due mesi e già desidera morire.
Desirée è l'unica che è andata a trovarlo, dopo Martha. Era stato strano avere a che fare con entrambe, una dopo l'altra. Desirée gli ha raccontato che ha trovato un lavoro in un bar, adesso, come cameriera. Gli ha anche detto che lei ed Ezra hanno iniziato ad uscire. Lui le aveva risposto che non gliene fotteva un cazzo e si era alzato, andandosene.

Martha aveva pianto.
Dean si abbassa, tira fuori dalla federa del cuscino un fazzoletto, con ancora ben visibile il bacio rosso che Martha ha impresso sulla stoffa premendoselo contro le labbra. Lo stringe con forza nel pugno.

Un suono metallico lo chiama alla realtà. Rumore di chiavi che girano in una serratura.
-Reed, hai vinto un incontro col tuo avvocato.
La voce della guardia di penitenziario lo irrita, da morire. Si alza in piedi quasi di scatto e si avvicina alla porta, nascondendo il fazzoletto nei pantaloni. La guardia lo ferma alzando il braccio che tiene in mano un manganello.
-Dove credi di andare, bellezza?— dice ridendo tra sé e sé, sventolando nell'altra mano le manette e il mazzo di chiavi.
Dean gli porge i polsi distendendo le braccia in avanti.
Odia il freddo delle manette. Odia sentirsi un animale pronto al macello.
Passa davanti alle celle degli altri condannati, alcuni gli sfiorano la spalla con la propria, diretti chissà dove, scortati da poliziotti armati fino ai denti.

Arriva nella sala adibita agli incontri. Spoglia, grigia, deprimente come tutto in quel carcere.
Michael Hall è già seduto dalla parte opposta del tavolo, il telefono in mano e la cartellina posata sul piano di legno.
Dean lo osserva, mentre cammina lentamente verso l'uomo che lo aspetta con un sorriso stampato sul volto.
Le guardie li lasciano soli, la spia rossa della telecamera di sicurezza all'angolo della stanza si accende.

-Dean, caro, come stai?— la sua voce, dopo giorni di limbo tra la negazione e la consapevolezza è come una secchiata d'acqua fredda per lui.
-Ezra come sta?

L'uomo spalanca gli occhi per una frazione di secondo, prima di ritrovare la sua consueta compostezza.
-Il signorino Ezra sta bene, per quanto io sappia.
-Digli che può andare a farsi fottere, lui e quella puttana nera che gli gira attorno come una mosca.
-Dean, Dean...— la voce di Michael Hall è quella di un padre che deve sgridare in pubblico un figlio maleducato —Perché parli così di un tuo amico? Non un amico qualunque, deduco, essendo che mi ha pagato per cercare di risolvere la situazione.
-E perché tutta la segretezza? Se l'altro ieri non fosse passata Martha a dirmelo adesso non saprei chi sei. L'avvocato dei Meyer non ha di meglio da fare?
-Dean caro, io non sono qui per risolvere conflitti tra te, i tuoi amici e la tua amante.
-Ah, cazzo, Ezra ti ha parlato di lei?
-Ezra mi ha detto di farla parlare col giudice, il signor Bryce, che ho scoperto essere vecchio amico di famiglia. Lei ha effettivamente testimoniato davanti a lui giurando che era con te quella notte. Lo dirà di nuovo domani.
Tosta ragazzina, lo sai? Il rosario al collo, il viso dolce e la gonna lunga la fanno sembrare più casta di una Santa.
-Perché io non ne sapevo nulla?
-Ezra ti ritiene... Inaffidabile, in questo momento, imprevedibile.
Dean batte il pugno sul tavolo, con forza.
-Vada a farsi fottere. Io non voglio essere in debito con lui.
L'uomo lo guarda, il sorriso si fa più accentuato.
-Ezra non intende chiederti nulla indietro. Non per quanto riguarda soldi, almeno. Non che io sappia.
-Perché sei qui? Cosa vuoi che io faccia domani?
-Io sono qui per dirti che ho parlato col giudice. Ha intenzione di ascoltare anche te, domani, per formalità.— l'uomo si abbassa, sussurrando con una mano  coprirsi la bocca.
— Diecimila dollari sanno essere molto persuasivi. Tutti hanno un prezzo, tutti sono uguali a te e ai poveracci che stanno rinchiusi in questo carcere, Dean. Cambia solo il ruolo sociale che occupano. È questa la differenza tra te e gli altri, Dean. Non è la prima volta che il signorino Meyer fa una cosa del genere.
Dean sorride.
Ezra, pazzo figlio di puttana.

-Bene.— Michael Hall si alza in piedi —ci vediamo in tribunale, Dean.

Quando torna nella sua cella si sente come se tutti i suoi problemi fossero scomparsi in un attimo.
L'angoscia, la paura, la rabbia. Addirittura il suo disgusto verso Ezra è scemato di colpo.
-Frega un cazzo di quel vecchio di merda.— sussurra —non mi sbatteranno dentro. Sono immortale, cazzo, come un Dio.
Alza le mani al cielo, con un sorriso in volto. Lacrime salate gli scendono lungo le guance.
-Mi senti Dio? Porca puttana, bastano i soldi per essere come te.
Quando uscirà prenderà Martha, andrà via da questa città di merda e si rifarà una vita con lei.

E così, il diciassette maggio duemilatre, alle dieci e un quarto di mattina, Dean Reed si alza in piedi per ascoltare la propria sentenza.
Il giudice lo guarda dall'alto della sua scrivania, vestito di nero come un avvoltoio. Naso adunco, capelli grigi.
Alle sue spalle, Dean può sentire lo sguardo di Martha e i suoi occhi già lucidi.
Frega un cazzo di questo processo e di quel vecchio merdoso, si ripete. Vuole solo uscire da quella stanza e strafarsi di coca.

-La giuria ha ritenuto l'imputato colpevole.— comincia a parlare il giudice Hedmund Bryce — Tuttavia, alla luce dei più recenti fatti che mi sono stati esposti e delle recenti testimonianze, io giudico l'imputato, Dean Reed, innocente per l'accusa di omicidio colposo di primo grado ai danni di Patrick Cale.
Un mormorio si solleva dalle panche della giuria. Gli vengono tolte le manette, mentre il giudice chiude il dossier e torna nel suo studio.

Dean sorride, si volta verso la famiglia del vecchio, seduti in prima fila, accanto a due poliziotti. Li saluta con la mano, prima di essere accompagnato fuori da Michael Hall.

Quella notte festeggerà come se fosse l'ultima della sua vita.

𝐀𝐏𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐂𝐀𝐔𝐒𝐄 𝐏𝐄𝐑𝐒𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora