Capitolo LXVI

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Gellert aveva combattuto per un buon quarto d'ora con la veste da notte, ma farlo senza magia e senza il suo braccio dominante non aveva portato a risultati apprezzabili. Arreso, sbuffando, si era buttato sul letto delle sue nuove stanze ancora vestito, fissando il soffitto.

Così vicini, eppure così lontani...

Alla fine, rassegnato ed entusiasta, si rialzò e uscì dalla sua camera da letto, attraversò l'ufficio di Difesa che gli era stato assegnato e si mise a girare per il castello nonostante fosse tarda notte. Albus gli aveva dato la parola d'ordine, ma non gli aveva detto dove andare di preciso, quel castello era poi così grande e disordinato, con le scale che cambiavano e tutto...

Alla fine si risolse a chiedere ad alcuni quadri ancora svegli, che gli indicarono la via.

Arrivato davanti ai due gargoyle di pietra sussurrò la parola d'ordine e i due, ligi, si fecero da parte per farlo passare.

Entrò nell'ufficio del preside senza bussare.

Albus era ancora sveglio, un globo di luce a illuminare la scrivania, dove era sparse diverse lettere mezze aperte... Le sue lettere.

Non provò neppure a nasconderle, alzando lo sguardo su di lui.

"Gellert" lo salutò, stanco.

Gellert avanzò fino a trovarsi davanti a lui, dall'altro lato della scrivania.

"Quindi le stai leggendo" commentò, pensieroso, osservando le pergamene.

Albus sospirò.

"Ho cominciato dopo il tuo ritorno come eroe del mondo magico..." rispose, una leggera punta di sarcasmo "Volevo capire".

"E cosa hai capito?" lo incalzò Gellert.

Albus alzò lo sguardo verso di lui, fissandolo con i suoi penetranti occhi azzurri al di sopra degli occhiali. Quelli, nonostante gli anni, non erano mai cambiati.

"Che ti sei pentito molto prima di evadere" rispose.

"È così. Perdere la guerra non mi ha fatto così male... Come perdere te".

Era inutile cercare di nascondersi dietro un dito, entrambi lo sapevano, e Gellert stesso aveva vergato quelle parole, più e più volte, nei suoi solitari anni di carcere.

"Eppure, nonostante questo..." riprese Albus, dopo alcuni secondo di silenzio "Continui a non voler dire come sei evaso".

"Non è un mio segreto" rispose Gellert.

"Neanche a me, Gellert?"

Gellert lo fissò intensamente negli occhi. Avrebbe voluto, davvero, parlare ad Albus. Avrebbe voluto spiattellargli tutto, confidarsi come un tempo, sentirlo vicino, due anime affini e solitarie.

Ma aveva fatto una promessa. Non sapeva, poi, se Albus l'avrebbe rispettato abbastanza per tenere davvero il segreto... Non ora, era ancora presto.

E non sapeva a quali conseguenze sarebbe andato incontro a tradire la promessa perché, beh, lei l'avrebbe scoperto. Sicuramente.

Until the end of the worldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora