Capitolo XXXII

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Severus aveva sognato.


Approfittando dell'assenza di Mulciber e Avery si era barricato in dormitorio, chiamando un Elfo a orario pasti, fingendo un malanno di stagione con Narcissa e Helena che erano venute a cercarlo dopo il primo giorno.

Severus, ancora confuso, ancora frastornato, restava ore sdraiato sul letto, con gli occhi chiusi... Cercando di ricordare.

Per la maggior parte erano sprazzi.

Spazzi di vita con Luna, immagini di una casa in mezzo al nulla, il sorriso leggero sulle sue labbra, una frase detta fuori contesto, un balletto divertito al tramonto, il vento a scuotere i suoi capelli di rame.

Il sudore di due corpi allacciati, l'espressione d'estasi di lei, brividi dentro di lui, gli occhi che si abbassavano insieme ad un mare di capelli d'autunno, la sensazione delle sue mani sulla pelle, il tocco in posti inaspettati e proibiti, odore pungente di loro alla fine di ogni amplesso.

Un pigro pomeriggio accoccolati sotto a un salice, un abbraccio sulla porta di casa ad osservare la tempesta, la risata esplosa nel nulla, lampi di se stesso invecchiato nello specchio, una brutta cicatrice sul collo.

La voglia di lei, l'attrazione, questa forza magnetica che guidava le sue mani sul suo corpo, che non gliene faceva avere mai abbastanza, mai abbastanza.

E man mano i ricordi tornavano, man mano Severus sembrava allontanarsi dalla realtà.

A volte Luna non era presente, negli sprazzi della sua vita.

Un uomo spaventoso, un mostro pallido dagli occhi rossi di serpente, "Ben fatto, Severus", e una bacchetta alzata, un altro uomo in piedi sull'orlo della Torre di Astronomia, la richiesta muta negli occhi, "Ti prego, Severus".

Avada kedavra.

Lampi verdi e rossi, il rumore di una battaglia, una corsa sulla scopa e un incantesimo deviato verso una testa rossa.

Un pianto di disperazione, un urlo animale, se stesso in piedi a una tomba scura mentre fiocchi di neve scendevano nella notte, parole incomprensibili incise nella pietra, parole che erano impossibili, parole che avrebbero significato che...

E poi ancora Luna, i capelli raccolti in una coda alta che volteggiava nella scia degli incantesimi, gocce di sudore e determinazione, lo sguardo concentrato, l'ultimo lampo rosso che lo centrava nel petto.

La caduta.

E Luna in piedi, tremante, con il fiatone, la bacchetta ancora alzata.

"... Hai vinto", il suo sussurro sbalordito, la realizzazione che si disegnava sul viso di lei, gli occhi grandi e sorpresi.

"Ho vinto".

E il sorriso luminoso, la sua bacchetta che cadeva per terra mentre correva verso di lui, mentre cadeva sopra di lui, mentre gli afferrava il viso, mentre gli premeva le labbra sulle sue.

La sopresa, il rifiuto, il rimpianto, l'improvvisa vampa di desiderio, lo spavento... E l'arrendersi sotto la sua lingua imperiosa, che lo forzava, che cercava la strada... I loro nasi troppo vicini, un singulto di puro istinto, le sue mani che la stringevano, il suo cuore di nuovo impazzito dopo essere morto per tanti, troppi anni...

Sbagliato.

Sapeva che era sbagliato, lo sapeva, ma non risuciva a fermarsi. Lei non riusciva a fermarsi.

Seduta sopra di lui, il bacino che si muoveva per tenerlo più vicino, lampi elettrici nel suo corpo, avrebbe sentito, avrebbe capito...?

E, infine, scoprì che non gli importava più.

Che tutto quello che aveva sempre desiderato era quella ragazza, quella donna impossibile, la Salvatrice del Mondo, la Padrona del Tempo.

Non importava che fosse la nipote di sua nonna.

Non importava che fosse più giovane di almeno dieci anni.

Importava solo la sua lingua nella sua bocca, e le sue mani sulla sua pelle, e il suo bacino che lo intrappolava stretto, e la voglia, la voglia improvvisa ed assoluta che avevano l'uno dell'altro, quel desiderio che mozzava loro il fiato, quel lento crescere di tensione fra di loro che si era appena spezzato, non appena lei aveva avuto il coraggio di compiere quel passo.

Non importava che l'avrebbe perduta, alla fine. Era abituato a perdere.

Ma avrebbe stretto a sé tutto il possibile, fino all'ultimo secondo.

Severus dormiva, e sognava, e ogni sogno era una consapevolezza acquisita, ogni risveglio una lotta con se stesso, non poteva uscire da quella stanza, non poteva correre a cercarla, non poteva...

Doveva capire.

Doveva conoscere di più.

Doveva scegliere.


***


E più dormiva e ricordava, più comprendeva e più sognava, più la scelta scivolava via dalle sue dita, più il suo cuore si ridisegnava su di una nuova consapevolezza, un bisogno che sembrava inciso in ogni fibra del suo essere, un sentimento scolpito direttamente nella sua anima mozzata, un collegamento imperioso con una vita che non avrebbe più vissuto.

E Severus non se ne rese conto finché non fu troppo tardi.

Until the end of the worldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora