29 Venezia e Corde

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Da oggi la mia vita deve essere diversa, deve essere meno avventuriere; si, sono una clandestina, si, mi vogliono morta ma è anche vero che adesso non sono più Atena ma Simona Del Castro, e come Simona posso volere altro dalla mia inutile vita.

Così di buon'ora sono scesa e fare la classica colazione all'italiana, un cornetto e un cappuccino. Questa è la mia missione di oggi.

Mi aggiro per le vie della città a piedi, attraversando ponticelli carini. Essedo le sette di mattino è ancora tutto abbastanza silenzioso e mi maledico di non aver dietro una macchina fotografica. Oggi c'è il sole che sta spazzando via la nebbiolina che si era creata durante la notte. Il paesaggio è suggestivo ma umido e freddo. Cammino persa, forse avrei dovuto lasciare un bigliettino a quei due dove li informavo della mia uscita mattutina.

Famulo se vogliono mi cercano.

Mi fermo a un baretto con dei tavolini esterni che danno sul canale.

Mi accendo la sigaretta aspettando il cameriere e nel frattempo afferro il giornale che c'è appoggiato sul tavolino di fianco. Parla di calcio, noioso.

"Fiöi, se vedemo" sento un veneziano salutare uscendo dal bar, è un uomo sulla cinquantina che mi sorride appena mi passa a fianco.

Arriva il cameriere e ordino due cornetti alla crema da portare via e uno alla Nutella per me con il cappuccino.

Mi godo la pace e la tranquillità.

Piano piano si sta popolando la zona e assaporo la tranquillità della vita, non so da quanto tempo non mi trovo in una situazione simile.

Non capisco benissimo il dialetto locale ma mi mancava sentirlo parlare, così come mi mancava questa vita.

Una figura incappucciata seduto tre tavolini distanti dai miei mi incuriosisce, è seduto rigido e ha un caffè espresso davanti a lui.

Gli si avvicina un altro uomo e gli si siede a fianco, anche lui incappucciato. 

Uno ha indosso una felpa nera e l'altro rossa. Sopra indossano dei cappotti neri lunghi, per combattere il freddo veneziano.

Decido di pagare e rientrare in casa, qualcosa mi dice che non mi devo fidare di loro.

Prima di alzarmi sistemo il coltello che è fisso nel mio stivale, poi entro lentamente nel locale, pareti affrescate, parquet in legno scuro e un lampadario eccentrico mi accolgono.

Il personale è gentile e so già che se non dovesse succedere nulla, questi potrebbe diventare il mio bar da colazione.

Prendo i due cornetti alla crema racchiusi in un sacchettino e inizio a ritornare per la via di casa, sono le nove e quei due dovrebbero essere svegli. Mentre gli altri due se mi seguono hanno pane per i loro denti. Esco e mi accendo l'ennesima sigaretta, che soddisfazione poter fumare così liberamente.

I due ragazzi si alzano e mi seguono. Merda. Una giornata tranquilla mai? Dai è mattina!

Affretto il passo, ora studio le ombre dietro di me e i riflessi.

In poco tempo sono nell'appartamento, ho fatto una stronzata a tornare qui? Si. Sono un idiota!

"vi ho portato la colazione!" urlo entrando, senza far capire che sono stata pedinata e li ho portato direttamente al nostro rifugio.

Il campanello suona.

Guardo dallo spioncino.

Harry! Steven!

Apro la porta e getto le braccia al collo dei due ospiti.

"Ragazzi! Che bello! Cosa fate qui?" chiedo mentre li stritolo. È arrivato il mio soccorso da salute mentale.

Un destino di famigliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora