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Rylie.

La pioggia martellava furiosamente contro la finestra, mentre un vento impetuoso ululava all'esterno. Un brivido mi attraversò la schiena e mi avvolgei ancora di più nel mio fedele piumone, che ormai era diventato il mio migliore amico, data la quantità di tempo che trascorrevo con lui rispetto alle persone che mi circondavano. Nonostante fossero solo le sei del mattino, ero già sveglia da un pezzo, ma la voglia di alzarmi sembrava ancora lontana dall'impadronirsi del mio corpo, soprattutto con quel tempo inclemente là fuori. Non che mi dispiacesse, adoravo il cielo grigio e cupo, ma non avevo alcuna intenzione di arrivare zuppa a scuola per le prossime quattro ore, specialmente considerando che quel giorno, finalmente, segnava l'inizio del mio ultimo anno.

«Sei sveglia?» La voce ancora rauca e assonnata di mio fratello mi raggiunse attraverso la porta appena spalancata da lui.

Mi voltai, avvolta ancora nel mio piumone, e lo fissai mentre si teneva fermo, con le braccia conserte, appoggiato allo stipite della porta, vestito solo con un paio di pantaloni neri della tuta.

«Ma non hai freddo?» Mi accigliai, stringendo la coperta stretta sotto il mento.

Scosse leggermente la testa e sorrise, passandosi una mano tra i capelli biondi per riordinare il ciuffo scompigliato.

«Muovi il culo sorellina, o faremo tardi.» Mi ricordò gentilmente prima di andare via.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, facendo controvoglia quello che mi aveva detto. Infila i piedi nudi nelle pantofole nere, stiracchiai il corpo e stesi le braccia in alto, per poi strofinarmi gli occhi. Non era mai un buongiorno, non ricordavo nemmeno qual'era stata l'ultima volta che mi ero svegliata con il verso giusto. La vita sembrava sempre correre avanti mentre io rimanevo indietro, incapace di tenere il passo, sempre troppo lenta per seguire il suo ritmo incessante.

Scesi lentamente le cigolanti scale di legno e mi precipitai in cucina strisciando i piedi, proprio mentre Ash appoggiava sulla tavola la mia tazza rosa fumante. Cappuccino, la mia gioia suprema. Mi sedetti e avvolsi la ceramica con le mani, godendo del calore che emanava e del profumo del caffè amaro che si mescolava con la dolcezza del latte. Mi voltai verso la finestra che si affacciava sul retro: il vento si era placato, ma la pioggia non sembrava avere intenzione di smettere.

Guardai mio fratello sedersi accanto a me e bere a grandi sorsi il caffè rigoroso. Aveva la faccia di uno che non aveva dormito per niente, le sue occhiaie erano evidenti. Lo avevo sentito rientrare solo un paio d'ore prima, e mi chiesi mentalmente quante tazzine di caffè amaro avesse già inghiottito per smaltire la sbornia così in fretta.

«Papà dov'è?» Pronunciai quella parola quasi con ribrezzo. Non sapevo nemmeno perché glielo stessi chiedendo, ma ogni tanto sentivo il bisogno di farlo.

Ash non mi guardò nemmeno, scrollò le spalle.

«Non lo so.» Borbottò seccato, infilandosi in bocca la brioche alla crema appena riscaldata.

Per lui, nostro padre era poco più di un'ombra lontana. Aveva abbandonato ogni speranza riguardo a lui allo stesso modo in cui aveva smesso di credere a Babbo Natale, all'età di circa sei anni, quando si era trovato improvvisamente a prendersi cura di me come un adulto. E per inciso, io avevo appena compiuto un anno e a malapena riuscivo a camminare sulle mie gambe.

«Ce la fai a prepararti prima? Devo passare dal locale.»

«Non puoi passarci dopo?» Mi lamentai.

«No.» Fece strisciare la sedia sul pavimento e si alzò, ripulendosi le mani dalle briciole che caddero per terra. «Devo scappare a lavoro dopo averti accompagnata a scuola, Frank mi fa il culo se anche oggi arrivo in ritardo.»

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora