55.

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Rylie.

Erano passati due giorni. Due giorni di totale e indifferente silenzio da parte di Devon.
Ero in camera mia e non facevo altro che guardare fuori dalla finestra verso casa sua, non era uscito nemmeno una volta, avevo perfino studiato l'auto e la moto in modo da accorgermi se erano state spostate anche di un solo centimetro ed io non me ne fossi accorta, ma niente.

Devon non aveva messo nemmeno il muso fuori casa, come avevo fatto io d'altronde.

Quella mattina dovevo recarmi in ospedale, per una visita di controllo, così mi preparai e dopo aver fatto colazione uscì di casa.

«Sicura che non vuoi che ti accompagni?» Mi chiese mio fratello, mentre ero sull'uscio della porta.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. Era in ferie dal lavoro per una settimana, e da quando avevamo ripreso a darci "conto" da quella sera in cui avevo conosciuto il lui bambino e mia madre, era diventato di nuovo uno stress nei miei confronti.

«No, ho voglia di fare due passi.» Gli dissi senza nemmeno voltarmi. Era stranamente una bella giornata, e dopo essere stata rinchiusa in casa avevo voglio di respirare aria pulita.

Quando mi chiusi la porta alle spalle e feci un passo verso il marciapiede mi bloccai. Fissai Devon davanti a me, aveva le mani in tasca e lo sguardo da cane bastonato.

«Ciao.» Disse, a disagio, trattenendo il respiro.

Mi soffermai sul suo aspetto; l'ultima volta che l'avevo visto sembrava un anima dannata, in quel momento, invece, era come se avesse una luce divina che lo illuminasse e due ali da angioletto, senza abbandonare però il fascino da cattivo ragazzo.

Guardai i suoi capelli neri e lucidi portati indietro, e qualche ciuffo ribelle che gli ricadeva disordinatamente sugli occhi azzurri come il cielo, contornati dalle occhiaie. Era leggermente pallido, segno palese che era stato fisicamente male, e il suo profumo fresco di menta mi arrivava dritto alle narici.

Sembrava diverso, decisamente a posto, dall'ultima volta che l'avevo visto un paio di giorni prima.

Mi morsi l'interno della guancia e non gli risposi. Distolsi lo sguardo schiaffeggiandomi mentalmente, per il fatto di essere succube della sua bellezza, mentre il cuore scalpitava nel petto ancora come la prima volta che l'avevo visto.

Gli passai affianco cercando di ignorandolo, ma lui mi afferrò per un braccio, bloccandomi.

Una mossa prevedibile, insomma.

«Aspetta.» Mormorò, con voce rauca.

«Cos'è? Ti sei magicamente ricordato della mia esistenza dopo esserti fatto un bagno nell'acqua divina?» Gli chiesi acida, a denti stretti, una morsa mi serrava lo stomaco.

«Rylie, per favore.» Sospirò, come se fosse esausto. «Ho ancora un mal di testa atroce, ho passato due giorni d'inferno, e litigare con te non é nei miei piani.»

«Nei miei sì però.» Mi scrollai le sue mani di 'dosso, e indietreggiai. «Pensi che sia una delle tue puttanelle passate? Una di quelle che cerchi quando ti pare e piace? No, mi spiace.» Lo superai ancora ma lui mi bloccò, di nuovo.

Mi accorsi che ero più infuriata di quanto pensassi.

«Che cazzo dici! Ma come ti salta in mente di dire una cosa del genere? Sai benissimo che non é così, stai solo cercando un motivo per litigare.» Digrignò a denti stretti.

Lo guardai, dritto negli occhi sperando di non affogarci come sempre, ferita dalle sue parole e dal fatto che avesse ragione. Ovvio che sapevo benissimo che non era così, ma dovevo ferirlo in qualche modo.

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora