54.

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Rylie.

Mi richiusi alle spalle la porta di camera mia cercando di non fare rumore, e mi appoggiai ad essa manco avessi corso una maratona.

Mi portai una mano alla bocca soffocando un singhiozzo, un nodo mi serrò la gola e dai miei occhi stavano piovendo lacrime che non riuscivo più a trattenere.

Non riuscivo a respirare, ne a sentire niente intorno, era come se fossi rinchiusa in una bolla troppo spessa da scoppiare, in cui prima o poi sarebbe finito l'ossigeno ed io sarei morta. Mi stava lentamente e dolorosamente uccidendo, ed io glielo stavo lasciando fare come una dannata masochista.

Devon era diventato il mio mondo. Ma un mondo disastrato, secco e arrido, e lui non faceva niente per cercare di prendere in mano la situazione, se non continuare a sradicare con le sue stesse mani ogni singola speranza che riusciva a nascere.

Camminai verso la finestra e l'aprì, sperando che l'aria fredda della notte mi avrebbe permesso di trovare di nuovo il respiro regolare.

Dovevo smetterla di credere troppo in lui, dovevo smetterla di aggrapparmi ad una realtà che non esisteva per poi rimanere delusa da me stessa. Mi faceva paura, tutta quella storia mi creava un vuoto dentro che non sapevo come colmare. Troppi pezzi di puzzle, troppi pezzi da ricomporre, e non sapevo se ne fossi in grado, non sapevo se fossi abbastanza all'altezza da affrontare tutto, senza crollare.

Ero stanca.

Confusa.

Delusa.

Mi faceva male il petto, ma non capivo se era per quello che era successo o se fosse il mio cuore a farmi un altro brutto scherzo, così cercai di calmarmi, dondolando su me stessa e pensando a qualcosa di positivo che non esisteva in quel momento.

Mi voltai verso l'interno della mia camera, visto che la vista che dava la mia finestra era l'ultima cosa che volessi vedere, e mi persi nel buio, passandomi i palmi sulle guance cancellando le lacrime e le mie debolezze.

Camminai fino al comodino, accesi la piccola lampada e mi cambiai, per infilarmi dritta sotto le coperte, ma mentre sistemavo disordinatamente i vestiti sulla sedia della scrivania, qualcosa catturò la mia attenzione.

C'era una foto.

Era vecchia, consumata, era stata piegata in quattro su se stessa, i bordi ingialliti e leggermente strappati.

Fui confusa per un attimo, ma quando capì, mi si bloccò il respiro, accorgendomi che quelli nella foto eravamo Ash, mia madre ed io, piccola e minuscola, stretta tra le sue braccia.

Eravamo nella mia stanza, un tempo era diversa, ma non lo ricordavo nemmeno.

Continuai a fissarla senza capire da dove fosse sbucata fuori, ma non ci volle molto a collegare il cervello e capire che mio fratello l'aveva sempre avuta con se e non me l'aveva mai mostrata.

La presi tra le dita, che mi tremavano da morire, e la girai.

"Io, mamma e la mia sorellina. Per sempre felici''

Un nodo mi strinse la gola come non mai.
La scrittura di un bambino, leggermente sbiadita e consumata dagli anni, era incisa sul retro.

Un vortice di confusione mi assalì facendomi girare la testa e provocandomi la nausea.

Guardai ancora sulla scrivania bianca, c'era anche una pendrive nera e decisamente vecchia. Presi anche quella, senza sapere cosa farmene e la rigirai tra le dita per qualche secondo, fino a quando dalla curiosità corsi al piano di sotto e accesi la tv dopo averla inserita nella porta usb. Le mani mi tremavano mentre aspettavo che il file si aprisse, sperando che funzionasse.

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora