28.

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Devon.

Avevo passato l'intera settimana a crogiolarmi nell'alcool e nel fumo, avevo partecipato a qualche corsa, avevo fatto più di una rissa ed ero andato a trovare mia madre, che per fortuna mi era sembrava abbastanza in forma.

Mi ero tenuto lontano da Rylie, cercando di tenermi occupato il più possibile, ma sapevo che quel momento sarebbe arrivato.
L'avevo rivista, e non appena avevo sentito la dolcezza del suo profumo passami sotto il naso, ogni mio tentativo di tenerla lontana era andato a farsi fottere.

Ed in quel momento, in mezzo alla pista del Glown's, non riuscivo a trattenermi. L'avevo vista da lontano, ondeggiare i fianchi in mezzo ad una folla di sconosciuti che la fissavano come se fosse una caramella la leccare. Ma lei era mia e non avrei lasciato che nessuno di quei figli di puttana fantasticasse sul suo corpo nemmeno per sbaglio, tutti dovevano sapere che lei era off limits.

La realtà che cercavo di evitare era una realtà in cui lei mi mancava ogni volta che provavo a tenerla distante, e odiavo quella sensazione, odiavo che avessi davvero dei sentimenti e quella sensazione che mi strisciava dentro. Non ero fatto per l'amore e l'amore non era fatto per me, non potevo permettermi di provare tutto quello.

Dovevo trovare una ragione per separarmi da lei, ma ogni tentativo finiva sempre per fallire. Niente funzionava di fronte alla sua perfezione, e ogni volta che incontravo i suoi occhi, anche solo per un istante, capivo che per lei valeva la pena perfino sentire il cuore battere, e che non potevo per nessuna ragione al mondo andarmene completamente via.

La confusione che avevo in testa era abbastanza palese, nemmeno io sapevo cosa volessi in realtà. Continuavo a raccontare a me stesso bugie su bugie, per proteggermi da quello che mi stava succedendo, ero troppo abituato al degrado e lei sarebbe stata troppo per me.

La guardai passare in mezzo alla gente e la seguì. Quando fuori da quelle mura il freddo mi colpì il viso, la visti appoggiarsi alla parete di cemento e stringersi le braccia intorno al corpo. I suoi occhi tristi erano abbandonati sull'asfalto bagnato dalla pioggia caduta poco prima. Mi avvicinai a lei, accendendomi una sigaretta.

«Sei ancora qui?» Soffiò, stanca. «Ho detto che devi sparire.»

Mi appoggiai accanto a lei e la guardai dall'alto, era così piccola in confronto a me. Quella, era l'ennesima cosa che mi faceva impazzire di lei. «Sei così stupida.» Alzai gli angoli della bocca.

Si voltò, indispettita.

Non sapevo se quello fosse il momento giusto. Ma tenevo in tasca quei cazzo di biglietti da circa tre giorni. Da quando Connor me li aveva dati, avevo pensato di strapparli più volte e di mandarla a 'fanculo, cercare di convincermi che non me ne fregava un cazzo di farla felice. Ma in quell'attimo, in cui mi ero reso conto che l'avevo ferita inventandomi quella stronzata, quella era stata l'unica soluzione che mi era venuta in mente per non farmi odiare.

Infilai le mani in tasca e uscì i biglietti. Li sporsi verso di lei, che sbatté più volte le palpebre e poi li toccò, confusa.

La visti aprire la bocca e poi richiuderla, i suoi occhi brillarono emozionati e poi alzò lo sguardo su di me. E quegli occhi con cui mi stava guardando in quel momento non avevano paragoni, nessun prezzo. Niente e nessuno sarebbe mai potuto essere all'altezza di quello sguardo.

Mi guardava come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua.

«Non capisco.» Mormorò. «Sono per me?»

«Per chi se no?» Parlai, con la sigaretta consumata tra le labbra, il fumo mi finì negli occhi. «Ti sembro uno che comprerebbe dei biglietti per andare ad un cazzo di concerto di Lana Del Rey?»

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora