60.

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Rylie.

Un tuono scoppiò nel cielo facendomi sobbalzare, scostandomi dallo stato di trance in cui stavo davanti a lui, come un cagnolino bastonato sotto la pioggia.

Come mi era venuto in mente di andare lì?

Non sapevo nemmeno cosa volessi ottenere.

Mi sentì patetica e per un istante pensai di voltare le spalle e andarmene, ma ormai mi trovavo in quella proprietà, davanti al portone di casa, faccia a faccia con Dylan. E forse, non era nemmeno quello di cui avevo bisogno in quel momento.

«Sei l'addetto ad aprire la porta ogni volta che qualcuno suona?» Gli chiesi isterica. Ripensando alla volta precedente, per fortuna almeno indossava una felpa 'sta volta.

Lui mi guardò arricciando il naso, e ignorando la mia ironia dovuta palesemente ad una crisi di nervosismo. «Allora? Che ci fai qui?» Mi ripeté sbuffando, come un moccioso che aveva premura di tornare a giocare.

«Mi fai entrare o no?» Esasperai.

Stavo letteralmente morendo di freddo ed ero completamente zuppa.

«Certo che no.» Mi ammonì,scrollando le spalle.

Spalancai la bocca incredula per la sua maleducazione, se quello era il suo senso dell'umorismo, era decisamente pessimo.

«Fai sul serio?»

«Sì, ti sembra che stia scherzando?» Si appoggiò allo stipite della porta, e mi fissò incrociando le braccia al petto con quell'aria da stronzo viziato.

«Richard é in casa?»

Cercai di mantenere la calma per evitare di tirargli un pugno sul naso e pestarlo a morte.

Forse mio fratello aveva ragione, somigliavo a Devon più di quanto credessi.

«No.» Si spinse indietro. «Quindi ciao.»

Fece per chiudermi il portone sul muso, ma io mi buttai letteralmente su di esso, lasciando uno spiffero e trovandomi faccia a faccia con lui, divisa solo dallo spessore di legno.

«No, ti prego. Sono arrivata fin qui, e con questo tempo non so dove andare, l'autobus per Bedford é fra tre ore.» Sospirai.

La me interiore mi stava prendendo a schiaffi per quello che stavo facendo, sembravo stessi elemosinando la sua compassione. Ma in fin dei conti non era lui che cercavo, quindi non dovevo nemmeno dargli troppe spiegazioni.

Mi guardò inclinando la testa, e scoccò la lingua contro il palato. «Devi essere proprio disperata per pregarmi così, darling.»

Serrai le labbra e chiusi gli occhi per qualche secondo, rendendomi conto che ero passata dall'inferno al purgatorio e non sapevo se quello fosse un sollievo o no, poi li riaprì, scontrandomi con le sue iridi nocciola che continuavo a scrutarmi.

«Te l'hanno mai detto che sei uno stronzo?»

Ero praticamente circondata da psicopatici nella mia vita. A quel punto costatai che dovevo essere io il problema.

Sulla sua bocca si aprì un sorriso di sbieco, si leccò le labbra e si tirò indietro aprendo completamente il portone.

«Sì, ma sai? Detto da te ha un sapore diverso, quindi per questa volta ti faccio entrare.»

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora