12.

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Devon.

Strinsi con forza il bordo del lavandino mentre guardandomi allo specchio sperai di riuscire a ritrovare me stesso. In quel cesso c'era puzza, era sporco e mi faceva schifo, ma la mia vecchia casa era stata l'unica opzione disponibile, visto che non avevo intenzione di tornare a casa per il momento.
Aprì il rubinetto e mi bagnai la faccia, il ciuffo ormai troppo lungo mi ricadde gocciolante sugli occhi, infastidendomi, almeno per fortuna l'acqua era ancora potabile.
Mi tolsi la maglietta sporca e strappata, e cercai come meglio potevo di togliermi di 'dosso il mio sangue ormai secco, avevo trovato una vecchia maglietta blu scolorita nella mia vecchia camera, era orribile e puzzava di chiuso, ma me la sarei fatta andar bene lo stesso. Avrei fatto una doccia quando dopo sarei tornato a casa e, nonostante il solo pensiero di dover vedere mio padre mi rabbrividiva, non vedevo l'ora. Avevo un aspetto orribile, avevo dormito poco e avevo bisogno di un caffè.
Dovevo solo lasciar smaltire la mia rabbia per un altro po'.
Guardai il mio braccio fasciato perfettamente da quella garza bianca, un brivido mi percorse il corpo al solo pensiero di quelle mani piccole e delicate che si erano prese cura di me.

Mi voltai verso la porta semichiusa e la guardai disordinatamente seduta su quella poltrona scomoda. Aveva davvero passato la notte lì, non se n'era andata, nonostante mi fossi comportato da perfetto stronzo come sempre.
Odiavo come mi faceva sentire debole la sua vicinanza, come mi batteva il cuore solo a guardarla.
Era piccola, delicata e decisamente troppo angelica per me.

Scossi il capo e cacciai dalla testa quegli stupidi pensieri che avevo su di lei. Al diavolo quella stupida scommessa del cazzo, non mi andava più di giocare, non gli avrei mai fatto del male, non dopo la scorsa notte. Non se lo meritava, Rylie non era il giocattolo di nessuno, ne tanto meno il mio.

Mi infilai la maglietta e poi mi accesi una sigaretta mentre tornavo in soggiorno. Fissai la bottiglia di scotch ormai vuota gettata disordinatamente sul tavolino malconcio e sbuffai, nemmeno quello c'era più. Mi guardai intorno, tutto era esattamente come l'avevamo lasciato. Mia madre non aveva mai voluto vendere quella casa, aveva intenzione di ristrutturarla un giorno, ma poi era successo quello che era successo, e tutti i suoi piano erano andati in fumo.

Qualche raggio cominciò ad invadere la stanza, Rylie si girò goffamente e in un tonfo cadde con il culo per terra.

«Ahi!» Mugolò, con gli occhi ancora chiusi. «Maledizione.» Si mise seduta, stirò in avanti le gambe snelle e appoggiò lo schiena alla poltrona.

«Imbranata.» Le rifilai divertito.

«'Fanculo.» Borbottò coprendosi la faccia con le mani. Aveva ancora le dita sporche del mio sangue, anche la sua felpa grigia era macchiata, perfino il suo viso che avevo toccato con le mie mani aveva addosso qualcosa di mio.

Mi avvicinai e la guardai dall'alto, mordendomi l'interno della guancia, fino a sentire il sapore del sangue. Perché non riesco a smettere si pensare a quanto sia bella?

Mi abbassai in avanti e le afferrai le braccia, con poca fatica la tirai su in piedi facendola scontrare con il mio petto.
Mi guardò con quegli occhi verdi, grandi e lucidi, qualche ciocca di capelli le si era appiccicata al viso, rendendola tremendamente attraente.

Non fissarmi in quel modo. Gli avrei voluto dire. Invece, la guardai fino a quando non fu lei a cedere voltandosi verso la finestra.

«Che ore sono?»

Lasciai la presa salda che avevo intorno alle sue braccia e mi schiarì la voce.

«Le cinque e mezza.» La informai.

In quel momento il mio telefono prese a squillare, catturando la nostra attenzione.
Rylie indietreggiò fino alla parete dove si appoggiò a braccia conserte mentre io recuperai dalla tasca dei jeans il cellulare.
Era mio padre.
Sapevo che sarebbe stato furioso, me ne sbatteva sicuramente un accidenti. Rifiutai la chiamata e rimisi in tasca il telefono scarico sull'orlo di spegnersi completamente.

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora