67.

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Devon.

Erano passati due giorni e i miei pensieri non facevano altro che sovraffollarsi di odio.

Era l'alba di venerdì ed il sole stava lentamente illuminando il cielo, guardai attraverso la finestra quella che sembrava essere una bella giornata, e poi calai gli occhi su Rylie, che dormiva avvinghiata a me come una bambina.

Tastai la sua guancia con le dita e le scostai i capelli che le erano caduti sul viso, rabbrividì al solo pensiero che se non ci fosse stata lei, non sarei sopravvissuto abbastanza da vedere un altro giorno.

Faceva ancora male.

Un male assurdo.

Il sapore di un male che non avevo mai provato. Pensai a mio padre, a quanto aveva avuto ragione quando una volta mi disse che il tradimento non arrivava mai dal nemico, ma di chi ci stava intorno, di chi ci stringeva la mano e condivideva la vita con noi.

Peccato che il primo figlio di puttana a tradirmi era stato proprio lui, quando senza il mio consenso mi aveva dato come garanzia a quel fottuto messicano.

«Perché sei già sveglio?» Mugolò Rylie, con voce lieve, con gli occhi ancora chiusi.

Il realtà non sapevo nemmeno se avessi dormito. Avevo dei seri problemi con il sonno, e nonostante fossi stato tentato di prendere qualcosa per riuscire a cedere, non l'avevo fatto. Sapevo quanto lei odiasse che mi ficcassi in gola quelle maledette pasticche.

«Non riesco più a dormire.» Mi alzai scansandola con delicatezza, e mi sedetti sul bordo del letto. «Torna a dormire, é ancora presto.» Ficcai i gomiti sulle ginocchia, e mi stropicciai gli occhi con i palmi delle mani sbuffando.

Sentì le sue dita correre lungo le mie spalle, fino ad arrivare al collo. Il suo viso si pronunciò vicino alla mia guancia, solleticandomi con i suoi lunghi capelli biondi e inondandomi con il verde dei suoi occhi.

«Ti preparo un caffè.» Mi disse, baciandomi l'angolo della bocca.

Si alzò in piedi barcollando, ma io la bloccai afferrandola per il polso e facendola tornare indietro.

«Hai già fatto abbastanza per me.» Sospirai.

Lei mi guardò con gli occhi ancora socchiusi per il sonno, e si intrufolò in mezzo alle mie gambe, appoggiò le mani sulle mie guance e mi fissò.

«Niente sarà mai abbastanza.» Sfiorò con i pollici le mie labbra. «E poi, non ho più sonno nemmeno io.» Mentì, prima di scostarsi.

La guardai lasciare la stanza ed io mi alzai.

Infilai un paio di pantaloni della tuta e, dopo essermi lavato la faccia, scesi al piano di sotto, dove l'odore del caffè mi fece rianimare i sensi.

Ci sedemmo sul divano, lei si sdraiò portando le sue gambe sulle mie cosce.

«Verrò domani sera.» Parlai d'un tratto, dopo un infinito silenzio fatto di pace.

Lei mi guardò confusa, abbassò la tazza che teneva tra le mani e rimase perplessa per qualche secondo.

«Non devi sentirti costretto.» Mi rassicurò.

«Non mi sento costretto.» Sventolai una mano. «Ma voglio farlo. Richard é tuo padre, e tu meriti di avere una possibilità con lui. Nonostante non mi vada a genio, voglio supportarti.»

Mi meravigliai delle mie stesse parole. Di certo, il Devon di una volta avrebbe vomitato solo a guardarmi.

«Davvero?«»Chiese incredula.

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora