40.

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Devon.

Ero sul balcone del sedicesimo piano, a fumare l'ennesima sigaretta e avevo appena staccato la chiamata con Ash, in cui mi diceva che l'avevano appena rilasciato, dopo essersi accertati che Phil si fosse effettivamente suicidato.

Erano le quattro del mattino e Rylie dormiva avvolta tra le coperte di un hotel a New York in cui l'avevo portata. Non aveva spiccicato parola da quando nel tardo pomeriggio eravamo arrivati lì.

Si era fatta una lunga doccia e si era rintanata sotto le coperte fino a quando tra le mie braccia si era addormentata, era come se fosse entrata in modalità offline e non riuscisse a sbloccarsi.

Sbuffai il fumo per aria e calcai il cappuccio della felpa nera in testa, per proteggermi dal vento gelido che mi colpiva la pelle del viso, mentre osservavo quella nuvola bianca dissolversi nel freddo buio della notte, cercando di dare un senso a quello che era successo nelle ultime ore.

Un urlo strozzato mi arrivò alle orecchie all'improvviso. Gettai la mezza sigaretta per terra e mi precipitai da lei. Aveva gli occhi spalancati, seduta sul letto e le mani tra i capelli.

«É stato solo un incubo.» La rassicurai, prendendole le braccia.

I suoi occhi terrorizzati mi scrutarono, freddi e spenti. «Dov'eri?» Mi chiese, con la voce affannata, dopo qualche secondo di silenzio.

«Sono uscito sul balcone per fumare una sigaretta, per parlare con Ash.» Confessai. Mi ero staccato da lei solo per non svegliarla, avevo bisogno di fumare o sarei impazzito da un momento all'altro. «É a casa, lo hanno rilasciato non appena si sono accertati che Phil si é davvero suicidato.»

Lei rimase in silenzio, abbassò lo sguardo, guardando un punto vuoto nel buio della stanza. Le presi il viso tra le mani costringendola a fissarmi. I suoi occhi persi e tristi erano velati di lacrime, ferme sull'orlo.

«Rylie?»

Lei si scostò e si portò una mano al petto. Quel gesto che faceva spesso ogni qualvolta che c'era una discussione, quel gesto a cui finalmente potevo dare una spiegazione.

«Continuo ad avere quella scena davanti, mi sta tormentando. Le parole di Phil, lo sparo, il sangue. É tutto così... Confuso.» Sbottò a raffica, tremando, la voce rotta e il respiro pesante.

«Ehi, guardami.» Le imposi, afferrandole il volto tremante. «Ti prometto che passerà, devi solo elaborare la cosa.»

«Anche tu lo sapevi?» Mi chiese all'improvviso, trattenendo il fiato.

«No.» Scossi il capo. «Ash non me ne ha mai parlato.» E non riuscivo a capire perché aveva nascosto quella cosa anche a me.

Lei si tirò indietro, e si alzò. «Perché non me l'ha mai detto? Perché me lo ha tenuto nascosto?» Farfugliò, tirandosi indietro i capelli biondi, illuminati dai raggi della luna.

«Non lo so, non so perché te lo ha tenuto nascosto. Ma so per certo che sia un motivo valido e avrete modo di parlare quando torneremo a casa.» Cercai di rassicurarla.

«Capisci che questo, forse, avrebbe potuto cambiare le cose?» Mi guardò aprendo le braccia, era pallida, tremava e si torturava le labbra con i denti fino a mettere in mostra il suo sangue. «Magari il mio vero padre é un uomo per bene, magari non é come diceva Phil. E se mia madre non era veramente come me l'hanno descritta fino a questo momento?» Alzò la voce e cominciò a camminare avanti e indietro, nervosa. «O magari é proprio come ha detto, sono frutto di una scopata in cambio di una dose.» Continuò. «Una vita di bugie.» Rise isterica.

«Basta!» Le ordinai, alzando la voce.

Mi alzai, e l'afferrai per le spalle bloccando il suo assurdo giochetto mentale che si stava creando da sola.

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora