30.

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Devon.

«Sei una stupida incosciente del cazzo!» Gli urlai dietro, senza curarmi di chi potesse sentirci a quell'ora della notte.

L'unica cosa che mi interessava era quanto fossi furioso. Stra maledettamente furioso con lei, e soprattutto con me stesso per essermela portata appresso in quella situazione tutt'altro che sicura.

Rylie si diresse senza esitare verso casa mia, come se l'avessi invitata a farlo, come se fosse sicura che la volessi lì. Si bloccò davanti alla porta incrociando le braccia al petto, aspettando che io aprissi.

«Disse quello che si é recato nella tana del lupo per farsi mangiare.» Sbottò arrabbiata, incenerendomi con quegli smeraldi.

Era perfino arrabbiata? Dio, cosa avevo fatto di male per meritarmi quella ragazza folle nella mia vita?

Scrollai le spalle ed apri con poca delicatezza il portone. Entrai in casa e lei mi segui, sbattendo senza cura la porta alle spalle, facendo letteralmente tremare i vetri delle finestre.

Gli puntai un dito contro e mi avvicinai cercando di non respirare troppo il suo profumo, cercando di non farmi annebbiate la mente. Le bastava così poco per farmi dimenticare completamente il motivo per cui fossi arrabbiato con lei. La voglia di metterle due mani al collo e soffocarla, era estenuante.

«Non farlo mai più, Rylie.» La minacciai. «Non intrometterti più in qualcosa che non ti riguarda.»

Lei mi guardò serrando le labbra, infastidita. Sapeva che avevo ragione, ma ovviamente non lo avrebbe mai ammesso. Solo al pensiero di quello che era successo poco prima mi si chiudeva lo stomaco, per la paura fottuta che avevo avuto credendo le fosse successo qualcosa. Al solo pensiero delle mani di quello stronzo, che la tenevano stretta e la pistola sporca che aveva sfiorato l'innocenza della sua pelle.

Mi voltai stringendo i pugni e urlando di rabbia. Come in un loop infernale quella scena si ripeteva nella mia testa. Era stata colpa mia, ero stato io a portarla lì. Dovevo smetterla di non usare il cervello quando mi arrabbiavo, dovevo smetterla di essere così impulsivo e senza controllo.

«Devon?» Alzò la voce, afferrandomi per un braccio. «Devon, guardami.» Si parò davanti, e mi impose di fissarla negli occhi, prendendomi il viso tra le mani. «Devi calmarti, adesso!»

Il respiro affannato non la smetteva di cessare, sentivo le vene pulsare ed il sangue defluirmi dal cervello.

Avevo urgente bisogno di qualcosa, avevo bisogno di distrarmi in qualche modo, di cacciare la realtà per evitare impazzire. Mi scostai da lei, in malo modo, e infilai le mani dentro la tasca dei jeans trovando quello di cui avevo bisogno, di lei, avevo bisogno di lei.

Presi la pasticca tra le dita e quasi ripresi a respirare solo ad averla vicina, ma prima che potessi metterla in bocca, Rylie la fece scivolare in modo brusco con un gesto della mano. La guardai rotolare sul pavimento e finire sotto il divano, imprecando.

Alzai gli occhi su di lei, furioso. Era morta, l'avrei uccisa all'istante. Pensai poco lucido.

«Ma che cazzo fai? Porca puttana!» Le urlai addosso aprendo le braccia. «Merda!»

«Non ne hai bisogno.» Digrignò a denti stretti, sfidandomi con lo sguardo.

Lei non capiva.

Non capiva quanto in quel momento avessi bisogno di quella via d'uscita per non perdere il controllo e per poter riprende a ragionare. Non aveva mai visto cosa potessi diventare, se solo non mi fossi calmato, con quale forza mi sarei fatto male da solo.

Mi portai le mani ai capelli e li tirai, la mia faccia era ancora macchiata di sangue, la ferita mi bruciava da impazzire ma continuai a tenere le dita tra le ciocche, perché sentire dolore era l'unica cosa che riusciva a trattenermi dall'esplodere.

Fino ai tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora