Sia quel che deve essere fatto (1)

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Un colpo secco.

Dritto, dietro la schiena.

In basso, nelle reni, a spezzare il respiro.

Sussulto. Apro gli occhi nella tenebra della notte. Nelle narici, l'odore acre del pagliericcio. In bocca il resto di una spiga e qualche pelo di volpe caduto dal vello.

Resto immobile, tengo il fiato.

Lo spavento del soprassalto mi morde i nervi, il colpo basso mi taglia il respiro.

Nel buio della stanza, un rifiatare rauco, da qualche parte sopra la mia testa.

Oltre, perso nel nero denso e senza luce, il suono leggero, quasi soffocato, di una litania che non riesco a capire.

Mia madre: riconosco la voce. È sveglia; prega.

Marso, mio padre, in piedi dietro di me, mi stampa a casaccio una seconda pedata; non si è accorto che sono già sveglio.

Serro i denti, poggio i palmi e mi faccio forza.

Gli occhi si abituano all'oscurità.

La sagoma enorme di quell'uomo comincia a definirsi, contro il chiarore timido che passa dalla porta. Sono notti di falce, in cielo; una lama appena accennata. Una luna che non vale a far luce nelle tenebre.

- Muoviti, piglia il sacco, il ferro e il bastone.

Il silenzio, fuori, non aiuta a capire, non sussurra indizi. La mano di Marso se ne frega delle domande che non ho il tempo di dire. Mi acchiappa dal braccio, precisa, decisa, salda.

Ha occhi abituati alle tenebre, mio padre. Mi scuote forte fino a incollarmi l'orecchio alle sue labbra.

- Ancora dormi?! Piglia tutto! E metti i calzari che si va lontano...

Nemmeno ha finito di ringhiare che mi spinge via, verso l'angolo della stanza dove teniamo i fagotti e le lame. Il rombo della voce mi tuona ancora nelle ossa; meglio fare presto.

Mentre stringo gli ultimi giri di cuoio attorno al polpaccio, lo vedo sfilarsi oltre la tenda senza nemmeno degnare mia madre di uno sguardo. Non che sia una novità, per mio padre, trattarla anche tra queste mura come una bestia. Ultimamente, però, ha smesso anche di abbaiarle contro. Quelle che mi ha digrignato un respiro fa sono le prime parole che gli sento dire da quando sono arrivate le nevi. Come se la voce gli si fosse ghiacciata e adesso, col nuovo tepore, fosse tornata a sciogliersi.

Prima di buttarmi fuori da casa, cerco la sagoma di mia madre, nel buio. Provo a chiamarla appena, con un filo di voce.

- Muoviti, vai! Sennò torna e ti spacca la schiena, lo sai.

I campanacci delle bestie, più vicini, cominciano a suggerirmi qualcosa.

Di biada ne abbiamo ancora, ma deve aver deciso che è di nuovo tempo di pascolare le vacche, evidentemente. Vederlo trafficare col recinto, per lasciarci chiusi dentro i due tori, è la conferma che volevo.

Quando Marso butta l'ultima occhiata indietro, per vedere se sono pronto, faccio in modo di farmi già trovare col bastone pronto a colpire. Apre sempre lui, la fila; a me lascia condurre da dietro. Così, se qualcosa scappa o rompe la riga, ha sempre qualcuno da incolpare.

Molliamo il paese che il sole dorme ancora.

Senza aver nemmeno chiesto a Murajo il Vecchio di indovinarci il futuro e implorare Ekat di averci a cuore, durante il cammino. La dea dei crocicchi, la dea dei sentieri, la dea delle scelte non sa nulla, oggi, del nostro viaggio.

Senza aver nemmeno annunciato a Parisse, il Signore della nostra Bantia, quanto staremo via.

Nè chiesto agli altri Padri, attorno al fuoco sacro, se la nostra assenza avrebbe portato pericoli. Dei Figli, Marso non s'è mai curato.

Mio padre dell'etichetta se n'è sempre infischiato.

Scalpicciamo via in silenzio, quasi di nascosto.

L'unico suono, oltre la ghiaia che scrocchia sotto i calzari, è il muggito che qualche vitello sbuffa via. Tira dritto, mio padre. Non getta nemmeno uno sguardo indietro, per vedere se tutto va come deve. Non alza nemmeno gli occhi per guardarsi intorno, indovinare tra le cime innevate il percorso dove i rigagnoli si stiano già sciogliendo.

È come se la prima neve caduta abbia coperto e ghiacciato tutto quello che gli interessava, lì fuori. È come se ne fosse caduta così tanta da velargli gli occhi e impedirgli di sentire che è di nuovo primavera. Si muove in silenzio, senza fare un fiato. Come se ubbidisse a ordini che nessun altro può sentire.

Al primo crocicchio, Marso, invece di tirare dritto come sempre, si ferma. Mette il bastone, da sinistra, sotto la giogaia della vacca che apre il corteo e blocca le prime giovenche. M'affretto al mezzo della fila, ficcando la testa del margiale tra i garretti delle altre bestie, provando a trattenerle.

Alzo gli occhi, nell'alba che comincia a far luce intorno.

Vedo mio padre inginocchiarsi dove le strade si biforcano. Raccoglie qualche sasso, senza nemmeno star lì a guardare. Li solleva sopra la testa, se li passa tra le mani. Li sfrega e li sbatte tra loro, per farli suonare. Li poggia attorno al ginocchio e resta immobile il tempo di qualche respiro. Prega Ekat per un cammino sereno, senza intoppi. E di colpo mi sono chiare le sue parole sui calzari e sul sacco: non sono i pascoli attorno alle nostre terre, quelli dove vuole portare le vacche. Punta lontano. 




Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora