Sia quel che deve essere fatto (5)

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Il corpo di Marso mi rantola addosso.

Sento il peso comprimermi il costato, rubarmi il respiro. Ho la bocca schiacciata sulla sua pelle sporca. Ho i denti che crocchiano tutti contro la sua carne.

Nella sua carne.

Alla gola. Come un lupo: l'ho morso. Puntando alle vene forti che governano il sangue. Ho bevuto la vita di mio padre, mentre gli rigiravo dentro la roncola. E non sapevo. O forse, solo, fingevo di non credere.

Ho il naso schiacciato sulla gola di Marso. Sto mordendo. Sto bevendo.

Empio. Bestemmia degli dei. Questo sono, adesso. Questo e null'altro..

Quello che ingoio è il suo sangue. Lo stesso che mi lorda la destra, fino al gomito. Lo stesso che mi inzuppa i vestiti spruzzando fuori dallo squarcio. Lo stesso che mi riscalda il braccio, lì dentro, nel corpo che ho strappato.

Quando me ne rendo conto, davvero, provo a sollevarlo. Ho il fiato corto, il cuore impazzito.

Impossibile.

Per quanto smilzo si sia fatto, quel corpo, pare pesarmi addosso quanto dieci tori. Provo a sfilarmi di sotto, allora. Mollo la roncola, sguscio fuori col braccio. E pure così, come serpe che scivola fuori dal sasso, la fatica è un macigno che sembra invincibile.

Allento la morsa ferina sul collo e cerco di ribaltarlo. Marso pesa. Adesso pure più di qualche respiro fa. Morto com'è, ormai, il suo ingombro è doppio, perchè nemmeno uno dei suoi muscoli ne vuol sapere di collaborare.

Ribaltarlo non mi riesce. Ci ho provato ancora e ho sentito i polmoni assetati cercare aria, mangiare respiri. L'unica rimasta è tornare a sfilarmici di sotto.

Lurido del suo sangue, sguscio fuori. Mi accascio di fianco. Di fianco a mio padre che, adesso, finalmente, nemmeno rantola più. Ho la sua faccia, a un palmo dagli occhi, che punta il mio viso. Gli occhi ancora caldi fissano me senza muoversi, senza pulsare di vita. Senza nemmeno quel gelo che però, in qualche modo, almeno pareva respirare.

Ruggisco un conato, come se la disperazione volesse risputare fuori quel che è successo. Vomitarla via per togliermela di dosso. Il sangue di mio padre bevuto. Nulla. Nemmeno tra rantoli acidi e conati di fuoco, mi è dato di risputare quello che ho bevuto.

Non mi sembra nemmeno di riuscire a sentire nient'altro che quel sapore disgustoso in bocca e il calore denso e vischioso addosso. Come una seconda pelle. Come se fosse il mio stesso respiro.

Sangue; nient'altro che sangue.

E la mano ossuta, gelida, di quel vecchio.

Adesso, di colpo, mentre ancora sto rannicchiato di fronte a quel corpo, le ginocchia dure a premere sotto il mento, le gambe a proteggere il torso. Quel vecchio Capraio che avevo dimenticato e con quel contatto decide di tornare a parlarmi. Quelle dita puntute e ritorte le sento sulla spalla. Avvinghiate, come artigli di un corvo.

- Ogni storia, per restare scritta meglio, ha bisogno del sangue, Vurro di Marso, Signore di genti...

Com'è che mi ha chiamato?!

Certo, io so chi sono. Sono Vurro, fui figlio di Marso, ma...

Faccio in tempo appena a ingoiare quelle parole, a sollevare lo sguardo, che il viandante ha già superato i megaliti. Vedo la pezza che lo avvolge, nell'alba livida del mattino, sfilare in mezzo alle giovenche addormentate. Con le bestie intorno che non fanno un fremito, dormono placide. Proprio come se lui, quel Vecchio, neppure fosse lì.

- Io non sono Signore di genti!

Disperato. Protesto il vero. Un pastore, questo sono. Un Lucano, di certo. Forse... Forse mi sarà fatta grazia di potermi dire un guerriero. Signore mai, però.

- Non sono Signore! Non lo sarò mai!

Provo ad urlare, ma scopro disperato che non ho voce. Crollo, in ginocchio, di nuovo. In faccia al grugno di dolore di Marso.

Occhi persi, spenti. Ora che si stanno raffreddando, sono tornati gli stessi che usava da un po' per guardare il mondo.

Come se qualcuno, da qualche tempo, gli avesse detto che era arrivato il giorno giusto per farsi da parte. Sparire e cancellare l'ombra che mi premeva addosso. Col suo corpo, col suo nome, col suo sangue.

Già: sparire.

Nell'unico modo che certi dei antichi avrebbero accettato.

Forse.

Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora