Sia quel che deve essere fatto (3)

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Avrà anche occhi morti, il Vecchio, ma sembra mi veda perfettamente. Perché non mi stacca il viso di dosso. E segue i miei movimenti senza smettere di tormentarsi i ciuffi lerci di barba che gli scendono come una chioma rada sul petto.

- Tuo figlio, vero, Signore delle greggi?

Marso gli risponde dopo aver tirato un bel sorso da un coccio fumante che deve aver accettato da quel vecchio.

- Chi ti sibila all'orecchio ci vede bene. Si chiama Vurro. Vurro di Marso, dei Lucani.

Il viandante annuisce. Poggia i palmi delle mani a terra e sposta il cumulo di ossa gracchianti che nasconde sotto la veste. Si fa vicino al fuoco e libera spazio per farmi posto.

- Siedi qui, Vurro di Marso. Siedi qui... Hai pelo abbastanza, sul viso, da poter stare in mezzo a noi.

M'attardo con lo sguardo verso la foresta. Mi scopro con le dita che trafficano sulla cinghia della roncola per slacciarla dalla cintura, mentre la voce gracchiante di quell'anziano torna a rompere il silenzio.

- Lascia pure il ferro. Non temere: è ancora presto. Gli Irpini ci metteranno ancora qualche giorno ad uscire dalle foreste.

Capisce che le sue parole non devono avermi convinto, perchè rincara.

- Credi che me ne starei qui da solo, se sapessi che quelle bestie feroci possono venir fuori e razziare da un momento all'altro? Quanto ci metterebbero a sbattermi su quel fuoco da vivo e spartirsi la poca carne che ho addosso?

È troppo vecchio per essere della nostra gente.

I Vecchi delle nostre genti non vanno raminghi, non quando sono così avanti con gli inverni. Hanno già girato questo mondo e quell'altro quando fanno ritorno a casa e offrono il sapere ai loro villaggi.

Cos'è, se non Lucano, allora?

Dauno? Figlio del Sannio? O peggio... Capraio? Certo, ha stomaco a parlare degli Irpini chiamandoli barbari. In queste terre li conosciamo come valorosi, per quanto nemici; è agli stessi nostri dei, che pregano.

- Fammi compagnia, come tuo padre. Versati la zidera che è rimasta. E siediti tranquillo.

Ecco, appunto. Beve zidera. Questo mi basta a leggere da dove venga. Un ostile di là del mare! Giusto un Capraio ci doveva capitare. 

Solo quelle bestie randagie possono bere l'acqua scottata con quelle erbe di fosso. Bollente come ferro fuso e aspra come veleno. Sa di ferro. Guardo Marso, incerto. È la prima volta che mi trovo a bivaccare con un estraneo, per giunta Capraio. E corre voce che siano belve suscettibili, con tutta una serie di maniere e di superstizioni. Parla le nostre lingue, però. La sua voce ha i suoni mescolati delle genti dei boschi e delle valli. Da quanto si aggira tra i nostri boschi, lontano da casa?

A mio padre, però, sembra non interessare molto chi sia questo Vecchio. Manda giù ancora un sorso di quella brodaglia, poi acchiappa la roncola e infila la curva della lama nella brace, oltre le fiamme, per rimestare i carboni.

- Dì, Vecchio... Non hai sentito niente, quando ti sei seduto proprio su quel sasso? Non ci vedi niente?

Il viandante soffia fuori un sorriso. Pare una vipera che minaccia il morso.

- Ho sentito le grida di un uomo. Grida antiche, grigie come i miei capelli.

Marso sbuffa per trattenere una risata. Annuisce. Alza gli occhi e li mette nei miei. No: i suoi, quelli di mio padre, non sono occhi che ridono.

- Ci senti ancora bene, Vecchio.

Prima di continuare, si limita a spicciarmi in faccia solo un cenno con la fronte. Punta al macigno su cui il viandante ha fatto posto. Vuole che mi sieda? Vuole che beva?

- E dimmi... Adesso? Adesso che ci hai visto?

Il viandante mi porge il coccio. Dentro galleggiano due o tre ciuffi di sambuco e fuma una brodaglia scura.

- Ho visto sangue. Tanto sangue.

Marso non ride più. Nemmeno con le labbra. Mi pianta gli occhi addosso come fossero chiodi. Non si perde neppure uno dei miei movimenti. E quando indugio con il coccio a due dita dalle labbra, arriccia il naso in una smorfia che mi mette paura. Prima che ricominci a parlare, ho già ingollato mezza tazza di quella robaccia disgustosa.

Fuoco. Un fuoco amaro, rivoltante. Strizzo gli occhi dal fastidio mentre mi metto a sedere, lasciando scivolare la roncola lungo la gamba.

- Che dici, Vecchio? Credi che Vurro, lì, sarebbe capace di fare lo stesso?

Il viandante non parla. Si limita a sollevare le mani, palmi aperti rivolti verso mio padre.

Una neutralità che mi mette in allarme.

Quanto la testa, che adesso comincia piano a farsi pesante.

Quanto le ginocchia, che prendono a sbattere tra loro senza che nemmeno me ne accorga.

Quanto la voce di Marso, che si fa roca, si fa bassa, che sembra arrivare da molto più lontano di quel fuoco che ci divide.

- Io no, Vecchio. Io non credo che avrebbe il braccio fermo e il cuore feroce abbastanza per scannare così un uomo. Senza averlo mai conosciuto. Senza averne nessuna ragione. Solo con la scusa di poter dire di averlo fatto.

Il coccio mi sfugge di mano al secondo sorso. La destra prova a poggiarsi. Le dita cercano di aggrapparsi a qualcosa, fosse anche la pezza lercia che copre il Vecchio.

Nulla: solo la luce che comincia a scappare, il buio che incombe, le parole di Marso che rimbombano ancora più feroci, ancora più lontane, mentre tutto sfuma via.

- Su quella pietra, proprio lì. Avevo gli stessi giorni che oggi ha mio figlio. Quel Vecchio delle tue genti lo scannai perchè solo così sarei diventato uomo. Solo col sangue di un altro uomo sulle mani. Solo così avrei fatto davvero paura. Vurro no; Vurro non ci sarebbe riuscito. Vurro non sarà capace. Vurro non sarà mai un guerriero. Nemmeno ora, con la barba in viso e con la cintola pesante di seme, ha coraggio abbastanza per dirsi uomo.

C'è qualcosa che mi punge ancora più forte il ventre, come un tizzone inferocito di fiamma. L'ultima frase che scivola di bocca a Marso. Almeno, l'ultima che sento.

- Non so nemmeno se sarà mai uomo, Vurro...   

Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora