Una porcilaia, un bastardo (1)

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Piglio dalla collottola il vecchio torso artritico che sta buttato sulla trogola. Pesa niente. Me lo tiro a un palmo dalla faccia e lo scuoto, come fanno i loro mastini con la carne tra le mascelle. Deve guardarmi dritto negli occhi questo mazzo di fascine buono solo per far fuoco.

- Che cos'è questo?

Gli sollevo il fagotto che si dispera a uno sputo dal naso. 

Quello sta zitto, rantola quelli che sembrano gli ultimi fiati e serra le dita sul bordo della mangiatoia dei porci, per resistere alle scosse. Glielo sbatto sul grugno. Colpisco con quel coso come fosse un maglio dritto sul naso. Perchè il dolore gli risvegli la lingua e la metta in marcia spedita.

Niente. Resta fermo, con gli occhi d'un verde spento che mi fissano dietro palpebre tremolanti.

- Parla capraio bastardo. Che cos'è questo coso?

Spiccia a malapena due parole nella loro lingua. Una cantilena che non conosco. Aspirata dietro i denti e biascicata sulle labbra. Non sanno nemmeno parlare queste sciagure. Lo scuoto ancora, togliendogli gli occhi dal grugno e buttandoli indietro, attorno, alla ricerca di qualcosa, qualcuno.

La demonia, di fianco, continua a muovere cenni bruschi col capo. Secchi e piccoli come il cinguettio di certi passeri infreddoliti. Aurio e Marno non si curano di me, non vedono la figlia del fabbro guerriero che m'incombe di fianco come l'ombra alla sera, lunga e smilza. Quell'essere ha un velo stregato che l'ammanta agli occhi di tutti. E voce che non fa fiati, per chi non ha le mie orecchie.

Gli occhi della figlia di Mamerte puntano fissi in una direzione. Seguo la linea che mi suggerisce e finisco addosso a una capraia coperta di cenci, viso sporco e mani impastate di cenere e terreno. Sta muta, di fianco al cerchio. Gli occhi bassi e il respiro di una fiammella, pregando che basti a non farsi vedere. Certi segni ho capito che vanno colti senza farsi troppe domande.

Sono addosso a quella bestiolina con due passi feroci. Il vecchio trascinato a sinistra, quel fagotto che stride sollevato più in alto della mia testa. Nemmeno quando le travolgo le caviglie si azzarda a sollevare il capo.

- Cagna!

Scalcio, dritto in mezzo alle ginocchia. Voglio i suoi occhi e la sua attenzione. E voglio che sia ora. Ancora. Come la pedata nel fianco delle vacche quando non ci stanno proprio ad ascoltare. Scalcio ancora. Spezzo il muro di stinchi e caviglie e di punta la pungo tra le cosce.

Finalmente sputa fuori un grido.

- Parla tu, se conosci la mia lingua.

Suoni incerti, bastardi. Che almeno un poco riesco a capire. Dalle parole che semina fuori, in una ridda confusa di sospiri e gemiti di paura, sembra che parli l'irpino o la lingua dei nasoni del Sannio. Implora che le salvi la vita, ripete che non vuole morire. O forse, sulla sua bocca, prova a chiarire quello che tutt'intorno ogni singolo ostile sta provando a spiegare.

- Se sceglierò di lasciarti viva è solo perchè ubbidirai. Come la serva che sei.

Annuisce. Prova a riportarsi le ginocchia sotto il mento e a coprire le vergogne che la mia pedata ha snudato, sotto i cenci che la coprono. Nudi sotto i velli di capra: schifosi.

- La capisci la lingua di questo storpio?

Fa solo si col capo. Aggiunge un sussurro.

- Ti prego, poco...

- Non salvi la vita se tiri a indovinare, cagna!

- Qualche parola.

- Chiedigli cos'è questo, allora.

- Lo so da me: è una bestemmia mandata da Jadès. È la morte di questa gente. L'ombra nera di sciagura che ha portato noi qui. E ci ha annunciato la morte per mano vostra.

Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora