Ostili (1)

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Il ragazzo è sbucato fuori dal limitare fitto del noccioleto come uno spirito affamato nell'ora più buia di un inverno qualsiasi. Logoro di vesti e stracciato di buccia. Non l'ha visto la sentinella, al passo del Busso. E la terra con cui s'è impastato correndo, scivolando, cadendo e rialzandosi chissà quante volte ha finito per coprirgli pure l'odore. Nemmeno le papere l'hanno sentito arrivare.

Gli metto gli occhi addosso solo quando ad annunciarlo sono le grida spaventate delle donne al limitare del fuoco del pranzo. Un urlo di terrore, lo sciabordio dannato del catino che si rovescia, lo sfrigolio della brodaglia che butta a brace i tizzoni. Getto la pietra con cui rifacevo il filo alla roncola e salto in piedi stringendo l'impugnatura d'osso della lama pesante. Pori di quelle vertebre, rugosi, sotto il palmo della mano - più attrito e stretta salda, anche quando il puzzo della battaglia ti fa sudare la mano.

A qualche passo da me scatta anche Aurio. Disarmato, fa in tempo appena a tirare su un selce dal cerchio del fuoco. Aspettava la sbobba con lo stomaco in mano. E gli occhi sui fianchi forti di Merilla. Ha un padre, ancora, Aurio; ha Variano che è ancora vivo e ha pecore e vacche, grano e potere, tutta roba buona a scegliere le mogli migliori, per i suoi figli. Buda, pure lei accanto al fuoco a tirare su la carne per noi, alzando gli occhi, deve trovare solo la mia schiena, perchè il suo chiamarmi impaurito mi scivola sulla nuca. L'ha visto anche lei.

Gli arrivo quasi addosso col fischio di Aurio che prova a suggerirmi prudenza. Sollevo a offesa la roncola e gli sbarro il passo. Faccio appena in tempo a vederlo crollare per terra, col fiato che deve provare a rincorrergli il cuore. Giro attorno, gli premo il tallone in mezzo alle scapole, mentre sotto, quello, prova a recuperare il respiro. E faccio in tempo a guardargli i piedi piagati, i calzari spaccati. Ha corso per giorni, rubando al sonno ogni passo possibile. Così com'è combinato, l'unico pericolo vero è che ci muoia tra le mani prima di poter pure implorare pietà.

- Parla, chi sei? -

Rinforco la lama nel giro del cuoio, in vita, e lo sollevo dalle ascelle. Pesa un accidente. L'avessi afferrato dai cenci che ha addosso, sarebbe crollato ancora di faccia nel fango. Sospira, biascica sussurri che nella confusione, lì intorno, si perdono e non mi si infilano nelle orecchie.

- Silenzio! Fate spazio... -

Aurio si spiccia a venirmi incontro. Ce lo dividiamo un braccio ciascuno e lo trasciniamo fino ai tronchi dell'assemblea. Lo mettiamo seduto e quello non ha nemmeno la forza di reggersi che scivola col sedere per terra e la schiena a graffiarsi sulla corteccia. Dai cenci che ha sul petto vedo strette sul collo le piume e i denti di lupo. Non m'avevano ingannato i colori del vestito sotto la scorza di fango e lordura: è lucano, come noi.

- Acqua, Buda. Presto! -

Quella povera sciagurata grugnisce appena qualcosa. Non parla più. E non è rabbia. Ringhia e sbotta, anche se ha gli stessi occhi dolci di sempre. Il ventre l'è tornato stretto, ma da quando le ho strappato l'abominio di quella bestemmia dal grembo, pure il suo amore s'è fatto un grugnito che si capisce appena. Al ragazzo che mangia aria metto un coccio pieno sotto le labbra, dai capelli lo tiro quanto basta a tenergli la testa alta.

- Piano, bevi piano... -

Strappa sorsi tra i sospiri spaccati. Con uno sforzo che appare enorme mi ferma il polso e serra. Perchè lo ascolti. Perchè forse sente le forze sfilarsi via assieme ai rantoli.

- Le acque di Mephti... le hanno lordate... sciagura, sciagura e veleno... -

Alzo gli occhi, cerco quelli di Aurio che è l'unico maschio lì attorno. Ha sentito, ma come me non comprende. Resta con la bocca socchiusa e gli occhi che domandano a me cosa significhi quello che le orecchie hanno sentito.

- Cerca Murajo! -

Aurio non si muove. Lo cerca con lo sguardo attorno ma tiene i piedi inchiodati a terra.

- Muoviti, trotta! Trova il Vecchio e portalo qui! -

Al ringhio si decide e sgroppa. Mulina sui selci che portano alle capanne, le ginocchia alte e la voce spaccata. Chiedo altra acqua alle donne, che lo bagnino piano e lo facciano respirare.

- Tranquillo, non è il tuo giorno - poi m'inginocchio, perchè non fatichi troppo a tenermi gli occhi in faccia - Murajo il Vecchio sarà anche cieco, ma sa vedere nelle parole... - Di fronte quel poveraccio annuisce appena, con le palpebre che non ce la fanno a star su.

- Piglia il fiato e l'acqua che ti servono; a lui devi dire tutto! -

Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora