Un sogno. Il delirio di una notte infinita.
Apro gli occhi, quando un grido di Buda si alza violento a scuotere anche le pelli delle finestre e straziare le carni. In piedi: per un attimo il sonno deve avermi vinto, perché barcollo contro il muro e pur di non cadere quasi mi tiro appresso il tavolo.
Due torce alle pareti; non è buio e tenebra, come in quella visione.
Per terra il braciere che arde a riscaldare questa primavera che non vuol saperne di sbocciare davvero. Nessun vello, nessuna coperta. La pelle di capre e montoni cucita l'autunno passato è un cencio strizzato ai piedi del giaciglio.
Attorno al pagliericcio di stoppie e fieno, due vecchie si affannano.
Una tiene Buda mezza stesa in grembo. Ha le braccia a reggerla dalle ascelle. Non tiene in alto, però. Spinge. Coi polsi sulla testa di quel tondo enorme. Spinge, piano, provando ad accompagnare all'uscita quella creatura. L'altra, di fronte, tiene i talloni di Buda sulle spalle. Le regge di sotto il sedere, a cosce larghe.
Occhi negli occhi, le due vecchie si lanciano cenni d'intesa. La prima spinge, disegnando mezzi cerchi sulla pancia. E allora l'altra si solleva, alzando le spalle, spingendo i talloni di Buda in su, costringendo le ginocchia a piegarsi. Provando ad esporre meglio il sesso, il frutto. Pregando Cerere che quel che si agita, dentro, venga fuori più facilmente.
Resto indietro.
Tiro. Faccio un respiro forte, profondo. Cerco vento a gonfiarmi il petto.
- Va fuori, Vurro! Va fuori... qui già s'è consumata tutta l'aria.
Fa caldo, dentro. Caldo di braciere che cova sotto la cenere. Caldo di respiri, umido di sudore e lacrime. E salvia e pianto e morsi che sanno di sangue. Mi faccio forza, scosto solo un po la pelle dalla finestra e caccio fuori la testa.
Il freddo punge, il freddo mi risveglia.
Le urla, adesso, si fanno più forti.
- Fa come il mare, Lenna... Fa come il mare, che la creatura s'è messa di traverso.
La schiena di Buda è un arco teso.
Nuda, dal non sopportare nemmeno i panni addosso, s'è fatta rossa di sangue e di sforzo. Lo sterno gracile, sembra sul punto di scoppiarsi fuori, in una sorgente di vita e cuore e respiri. Ha il viso stravolto di dolore, gli occhi gonfi da far tremare, liquidi di lacrime, iniettati di morte.
Non avevo mai visto una vita venire al mondo.
- Fa l'onda del mare, Lenna! Fa l'onda: ora!
La vecchia dietro s'inventa un altro movimento. Alza da destra e spinge giù con la mancina. Come l'onda, come l'acqua che sciaborda. Ed è allora, nel giro impazzito di quelle mani, che posso vederlo. Vedere quello che avevo solo intuito, nei mesi passati. Vedere quello che avevo cercato, senza mai fortuna.
Vedere...
E maledirmi mille volte per aver voluto guardare!
Dietro quella pancia gonfia come un otre e quella pelle tesa come quella di un tamburo, adesso, qualcosa si agita. Sono forme oscene. Sono piccoli bozzi di dita puntute. Puntute come artigli, puntute come cocci di freccia. E sono dita secche, quelle che muovono quelle punte. Sono rametti ritorti, steli spinosi di rosa. Si agitano dietro la pelle, sembrano graffiare. Straziano, perchè ogni loro movimento regala al viso di Buda una contrazione violenta, uno spasmo. E dal petto, da quel profondo buio che dev'essere adesso il suo petto, per ogni sussulto del ventre, un urlo straziante di dolore.
Euclo.
Dev'esserci il Dio di lì sotto, dietro questo orrore che mi s'apparecchia davanti. Perchè quella che si muove ed annaspa dietro la pelle di Buda, non è qualcosa che abbia forma di testa. Sembra più la cuspide d'una freccia: più tonda dietro, puntuta davanti. Non è il capo di una creatura come noi, quello che sguazza in quel ventre, no. Quello che si anima lì dentro è la testa di una vipera.
- Ci sei quasi Buda, resisti figlia, resisti... Manca poco...
Cerco gli occhi dell'altra vecchia, quella che resta muta, lì dietro. Quella che fa il mare con le mani, provando a premere fuori quell'essere dalle carni della mia donna. Cerco quegli occhi e quando non li trovo, perchè se ne stanno premuti in basso, senza il coraggio di guardare né me nè quel ventre impazzito, allora la chiamo.
- Lenna!
Non vuole rispondermi, non vuole girarsi. Non solleva la fronte. L'unico suono è un sibilo lento, a comandarmi al silenzio.
- Eccoci, eccoci: sé drizzato, Lenna. Buttalo giù buttalo giù.
Un urlo accompagna lo sciabordio d'acqua che di colpo scroscia per terra, oltre le saggine, gli sterpi. Un urlo rauco che piano si spegne, da acuto s'affievolisce. E sotto quel rombo che degrada, un verso nuovo, diverso. Un pigolio feroce. E il grido disperato dell'altra vecchia, di fronte al frutto di Buda.
- M'ha morso! Madri della notte, m'ha morso...
Mi scoppia nella testa.
Una risata rauca e beffarda. La conosco. Quella lamia schifosa, ammantata di viola. È lei, da qualche parte nella mia testa, tra le mie ombre, che ride.
- È mio, questo sangue... Lenna, m'ha morso...
Mi fiondo tra le gambe di Buda. Quella vecchia che le sta di fronte: l'afferro per le braccia, da sotto le ascelle. La sposto tirandola via di peso.
- Mollate! Fuori. Lasciateci!
- Ma, Vurro...
Solo adesso, a Lenna, viene il coraggio di protestare.
- Fuori, vi comando! Lo tirerò fuori io, mio figlio.
Deve sapere di morte e di furia, il mio sguardo. Perché non servono altre parole; le due vecchie inforcano l'uscio senza nemmeno essersi risistemate le vesti, asciugate le mani.
Afferro le caviglie d'osso della mia donna. Sollevo, premo i talloni sulle spalle: ha i polpacci freddi, la pelle brinata d'un sudore gelido. Non fa più un fiato, Buda. Ha il respiro lento di una fiammella che si sta per spegnere. I suoni sono tutti lì, a litigare, tra le sue cosce, nel frutto nascosto del suo ventre. E sono i pigoli furiosi del corvo e gli squittii secchi della donnola. Sono versi d'orrore. È la voce di decine di bestie che stanno divorando da dentro Buda. Bevendo il suo sangue, scempiando le carni.
- Vieni fuori, carogna. Vieni fuori, demonio.
Calo le mani; i morsi s'aggrappano subito alle dita e straziano.
Stringo, cerco... sono le spalle quegli stecchi che sento?
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Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1
FantasyBoschi dell'Italia meridionale. A spanne e braccia, gli stessi anni in cui Roma veniva fondata. Queste le coordinate di spazio e tempo. I Lucani sono un popolo di guerrieri feroci che abita la terra compresa tra il fiume Bradano e le coste del Tirre...