Il sangue sporco (1)

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Il gelo ha mollato la morsa. Anche quest'anno.

La scalata al valico, per controllare quanto ancora siamo sicuri e quanto ancora tengano i ghiacci sul sentiero mi regala sempre, ogni giorno, qualche attimo di quiete.

E qualche momento per sognare, lontano dal trambusto del villaggio, dal sudore degli allenamenti, dal sapore del sangue impastato alla terra fredda di ogni combattimento.

Dalla primavera passata, sulle spalle, ho il peso di un titolo che non avrei mai creduto toccasse a me. E nell'ultimo anno, quasi ogni mamerziano - il sesto giorno - ho dovuto accettare di fasciare polsi e braccia e pestare la polvere della piazza di guerra. Non passava luna che qualcuno non pretendesse di incrociare un ferro o i muscoli con me. Non passava luna che qualcuno non provasse anche solo a vantarsi di aver combattuto con il promesso di Mamerte. E di aver vinto.

Non ho mai perso. E nemmeno un giorno ho permesso a qualcuno di trovarmi impreparato, di cogliermi pesante, assonnato, con la testa affogata da altri pensieri.

Non potevo permetterlo.

Perché prima che me lo chiarisse Murajo e prima che i sorrisi falsi di Parisse me lo suggerissero, lo sapevo già io, da solo, che più di qualcuno avrebbe provato a mettere in dubbio il titolo.

Perchè Vurro ha solo il sangue di un pastore.

Perchè Vurro non è mai sceso in guerra prima.

Perchè Vurro ha qualche bue e qualche agnello e due mezzi lupi. E una madre zoppa e mezza guercia.

Perchè Vurro non può essere un Signore.

Peccato che a Mamerte non interessino i velli pregiati, i passi di terra da misurare fino a perdere i passi. Peccato che le mani, le mie mani, di sangue ne abbiano visto parecchio di più di quello che ha macchiato la pelle degli altri figli dei Padri.

Peccato per loro: Mamerte è sempre stato al mio fianco.

In ogni combattimento. In ogni notte. Dentro ogni ombra.

Lo sento, adesso lo sento.

Quando il villaggio è a qualche tiro di sputo, quando le voci già cominciano a sentirsi e distinguersi nel brusio, Murajo mi ruba il passo, sgusciando fuori dall'ombra dei noccioli.

- Vurro, che notizie?

- Il sentiero è quasi sgombro, Vecchio. Una luna, forse nemmeno quella, e il passo sarà libero.

Annuisce. Alza il viso, come se scrutasse tra le chiome secche che disegnano una ragnatela in cielo. Alza gli occhi, come se davvero vedesse. Aggrotta la fronte; le rughe attorno, sul viso, disegnano solchi complicati. I pensieri, però, li tiene per sè.

Abbozzo, perché il suo silenzio mi inquieta.

- È stato duro per tutti, l'inverno. Faremmo meglio ad affilare le lame da subito.

Gli Irpini hanno conosciuto il morso feroce del gelo. I monti dei Dauni, verso il mare, sono stati un inferno bianco di ghiaccio e morte. Noi, nella valle, ci siamo salvati solo perché abbiamo sempre avuto il buon vizio di restare vicini, tra villaggi fratelli. E seppellire ogni invidia e ogni rancore, tra genti e Signori. Almeno d'inverno, quando Cerere mette alla prova i suoi figli e punisce ogni mancanza passata.

Murajo abbassa gli occhi, mettendomi quelle due palle morte dritte in faccia. Scuote la fronte, come a dirmi che avrei potuto trovare parole migliori.

- Vieni con me; devi vedere.

Non mi permette repliche. Agguanta il polso, mi trascina dietro alla sua veste, a scatti.

- Lare, la figlia di Parisse... La sola che abbia visto il ventre crescere fino a scoppiare...

La voce del Vecchio è un sussurro. Le tenebre del dubbio velano ogni sua parola. E pesa ogni suono, per cercare quello più giusto. Resto zitto, aspetto.

- Tutte le altre hanno fatto sangue. Tutti i vagiti che aspettavamo sono affogati nel sangue molto prima del tempo. E le bestie... pure loro, tutte loro: solo frutti marci.

Tante vacche con le pance piene solo d'aria, che hanno spurgato poco prima che le gemme spuntassero. Due agnelli crepati in pancia a madri troppo deboli per spingerli fuori. Quel cavallo, nato con la schiena talmente curva che gli si sarebbe spezzata nel giro di un paio di lune.

Quanto ragliava quella bestia: versi di morte.

Mi hanno chiamato a metterlo a terra di notte, perché i bambini e le donne piangevano di terrore a sentire quei suoni tagliare le tenebre.

- Che vuoi dirmi, Vecchio?

- Che Lare era l'unica che si preparasse a sbocciare dal ventre. E il suo frutto è venuto fuori senza nemmeno un pianto.

Dunque, nemmeno la figlia di Parisse.

Deve essere successo stanotte, mentre ero fuori, al valico.

- Forse Mamerte e Cerere vogliono dirci...

Le dita del Vecchio si serrano sul polso. Le unghie pungono proprio sul blu delle vene. Sibila uno sputo di serpe, tra le labbra secche. Quando lo dimentico, torna a ripeterlo: indovinare quel che pensano gli dei è una bestemmia. Bisogna vedere, allo stesso modo in cui vede lui.

- Siamo troppi, Vurro. E però, il sangue è sempre lo stesso.

Il sangue è sempre lo stesso.

Vuol dire solo una cosa: il sangue è sporco. Il sangue sta marcendo.

E se davvero il sangue non è più buono, se davvero annaffia solo deformità, sventura e malattia...

Allora vuol dire solo una cosa: vuol dire che è giunto il tempo di rinfrescarlo.

Di versare nella nostra coppa sangue nuovo.

Vuol dire che è arrivato il tempo di affilare davvero le lame. Salire il valico e ridiscenderlo, col grugno del lupo, nella notte, come bestie assetate. E questa volta, non come nelle primavere passate, per spaccare i recinti dei Sanniti e dei Dauni e trascinare fuori le bestie. O caricare le spalle di carne, ori e sale fino a barcollare sotto il peso della razzia.

Questa volta è un altro il bottino che comanda Mamerte.

Questa volta è il sangue che dobbiamo cercare.

Fino a strapparlo dalle mani dei Padri. Fino a tirarlo via dalle vesti delle madri.

- Mamerte ha scelto te, per tracciare un nuovo cerchio, lontano di qui. È a te che serve il sangue nuovo. A te e a quelli che verranno con te, che serve. Perché di sangue buono, qui, non ce n'è più.

Se resto in silenzio, non è per rispetto.

Nemmeno perché non so cosa voglia dire il Vecchio con le sue parole. Se resto in silenzio è perché voglio sentirglielo dire. Adesso.

- Dovrai guidarli tu, i figli dei Padri, a passare il valico. E alla loro testa, tu dovrai tornare col sangue.

Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora