Caro a Mamerte (3)

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Fiamma ci ha staccati già di un po' di falcate.

Punta dritta il cavallo.

Non è solo il pelo fulvo ad avermi fatto scegliere quel nome. Serviva un tributo vero a quel suo modo imprevedibile di vivere, a quel brillare di istanti e vampe, prima di sopirsi e restare a covare pensieri per ore, giorni, settimane.

Ombra non bada a me.

Forse per la prima volta da quando gli ho fasciato il collo col cuoio. Lo vedo scattare feroce; segue la sua compagna, poi scarta all'improvviso, come ubbidendo ad un istinto fossile, seppellito da qualche parte dentro il suo sangue. Saetta a destra, a pochi balzi dal viandante, e lo aggira alle spalle, per mettersi a scudo tra lui e il cavallo, tra lui e i Sanniti. Cosa gli ha suggerito che non voglio si tocchi il Vecchio?

Arrivo che già le due belve hanno le groppe inarcate, le code alte e svettanti, come bandiere di guerra. Sfodero la roncola e la lascio sibilare di fronte al ronzino. Metto gli occhi in faccia al conduttore, senza fare un fiato.

È allora che, di fianco, da sotto la cappa, la voce gracchiante e polverosa del Mandriano si veste di coraggio e vomita un grugnito di bestemmie e invocazioni. Vedo il destro avvizzito e nudo, sotto la stoffa logora, venire fuori e puntarsi con l'indice teso contro il muso del destriero.

Evidentemente, quel che si dice sui viandanti dei Mandriani dev'essere vero.

Non è una favola che siano capaci di parlare la lingua di tutte le bestie.

Perché il cavallo prima s'impunta e sgroppa, poi, come una tavola che si flette e ritorna, s'impenna e solleva gli zoccoli mulinandoli al cielo.

Non è al Mandriano che punta, il cavallo.

Non è Fiamma e non è Ombra che prova a scacciare con quel vorticare di zampe. Il viandante, sotto quel cappuccio sudicio, deve avergli soffiato fuori l'ordine di disarcionare i due.

La scrollata del puledro sbilancia il sannita che si reggeva dietro. Lo vedo scivolare dalla groppa e provare ad afferrarsi alla coda, prima di cadere di schianto, braccia aperte e occhi spalancati, lì dietro. Lo bacia la fortuna: il cavallo, ricadendo, non lo travolge pestandolo sotto gli zoccoli. L'altro, stretto alle briglie, vortica gli occhi intorno cercando di trattenere il muso della cavalcatura, tirando il morso, provandole tutte per rimettere a terra l'animale.

Mi chiedo se non basti questo siparietto, al Mandriano, per convincere i due sbarbatelli che non è il caso di proseguire. Guardo il ragazzo per terra e leggo il terrore che ha negli occhi, quando Fiamma sgancia il ringhio dal muso del cavallo e scopre i canini a tre passi dalla sua, di gola.

La lupa rossa non ha smesso di bramare sangue e furia.

Nemmeno ci provo a richiamarla indietro: non mi ha mai ascoltato davvero.

Anche Ombra è in preda ad una frenesia che non ho mai visto, però. Romba un ringhio sordo muovendosi piano, sempre a scudo tra il manto lercio del Vecchio e gli zoccoli della bestia che pestano nervosi il terreno.

No: al Mandriano questa sortita non è di sicuro bastata. Ha altro per la testa. Ha voglia di dare una lezione ben più dura a quei due ragazzetti. Una lezione forse troppo dura, anche per l'impudenza dimostrata. Torna a squittire, l'essere rinsecchito che si agita sotto il cencio. Torna a gracchiare, ma stavolta lo fa abbozzando parole e rimandi nella lingua dei miei padri. La conosce, non so come. Ha voce di aspide, quando solleva più in alto la destra e drizza il bastone verso un punto imprecisato tra gli zoccoli del cavallo. I suoi ordini, questa volta, sono per me.

- Non è quello che volevi, Vurro dei Lucani? Non è quello che aspetti da anni?

Resto immobile di fronte a quelle parole che puzzano di sangue e di morte. Di che parla? Cos'è che vuole, da me, questo vecchio pazzo?

Provo a prendere tempo. Sputo fuori le sole parole che abbiano senso, dentro la testa; le prime che la paura mi metta in bocca.

- Chi sei? Scopri il volto, Vecchio!

- Mi conosci, Vurro. Tu lo sai chi sono!

Muovo un passo indietro. Le dita si serrano più forti attorno all'ossobuco che fa da manico alla roncola. Quel soffio puzza di sangue e di ruggine. Puzza d'inganno e di empietà. Fosse un uomo come tutti gli altri, gli sarei già sotto il muso con la lama ad offesa. Prima lui, poi questi due ragazzetti. Quel mantello, però, mi fa paura. Richiama dall'abisso ricordi che vorrei dimenticare. Mi rimette attorno alla testa e ai piedi un oblio di morte ed incubo. È un denso buio, quello che immagino sotto quel cencio, al posto di un corpo.

Il Mandriano fiuta la paura.

Quella dei sanniti, immobili in un tempo che sembra durare inverni interi. La mia, di strizza, dietro le sue parole che suonano come un monito incomprensibile carico di lutti e sciagure. Il Vecchio fiuta la paura e mi provoca. Ancora. Puntando sempre allo stesso punto: quel grumo di ricordi e rancore che ho piantato nel petto.

- Ti serve del sangue da spargere, per dimostrare che sei uomo. Non è forse così?

- Taci. Non sai di che parli. Non sai nulla di me...

Inciampo nelle risposte. Ho gli occhi che ballano dal mantello del cencioso, dalle sue mani avvizzite e affilate, agli occhi sgranati di terrore del nasone e del cavallo. Dalle groppe possenti di Ombra e Fiamma, ai piedi sospesi a mezz'aria del sannita caduto a terra.

Perchè nient'altro si muove?

Perchè il mondo sembra congelato in un inverno di morte che non conosce tempo?

- Torna a casa con le mani lorde di sangue. Torna a casa con un trofeo di morte, Vurro. Lo sai anche tu: solo allora si decideranno a capire chi sei. Solo allora non avranno scuse per ammetterti in battaglia.

Fingo di ignorare, ancora.

Anche perché il terrore di quella scena che non riesce a muoversi e resta pietrificata, ora, mi fa più paura delle parole di quell'essere, che leggono il mio cuore e la mia storia senza mai avermi visto.

- Che sortilegio è questo, Mandriano?!

- Di Marso non hai potuto raccontare nulla. Hai mentito. Nessuno può sapere che hai già ucciso, vero? Il sangue che hai versato è empio. È sangue di padre sputato in terra dal figlio, non è così?!

Tremo.

Sento le ginocchia farsi deboli.

Maledico l'invidia della guerra che mi ha spinto fuori di casa.

Maledico Marso che s'è fatto ammazzare per far contento chissà quel dio folle e malato.

Maledico questo vecchio, che sa tutto di me... E sa quel che più mi brucia dentro. Quel che più mi fa terrore. Quel che più mi fa gola.

- Questo sangue che ti offro è sangue buono. Vurro ha protetto un viandante. Vurro ha fatto strage di nemici. Vurro sì che è caro agli dei!

Strizzo gli occhi.

Provo a fare il vuoto dietro le orecchie.

Provo a scacciare ogni singola sillaba che quella cornacchia rinsecchita schiocca sotto il cappuccio. Provo, ma è un'altra la fiamma che comincia a ribollire dentro. Una fiamma che ho tenuto sopita sotto la cenere, ammantata sotto l'ombra di un lutto a cui sono stato costretto.

- Caro agli dei, Vurro... Caro a Mamerte...

È mentre quelle parole mi bucano i timpani come aculei arroventati che la scena scoppia di nuovo sotto i miei occhi.

Ho solo il tempo di vedere Ombra che scatta, con un balzo, investendo il muso del cavallo. I canini a mordere la pelle tesa, fino a sgarrare sulle ossa con uno sfrigolio che sa di morte e terrore.

Fiamma: è il suo balzo che mi tira dietro, come se fossi io la belva al guinzaglio, quella che piglia ordini. E fosse la voce del lupo, adesso, quella che comanda.

Sangue, Vurro. Fai sangue!

Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora