Ci lanciamo sui cani. Ai cavalieri ci pensi chi arriva dall'altro fianco.
Anche perchè, tra chi s'è fatto infilzare, c'è poco da fare. Quelle bestiacce vanno tolte di mezzo. Travolgo uno dei canari mentre quello sta provando a sganciare le ganasce della sua bestia dal corpo di uno dei miei fratelli crepato sotto le fauci. Qualcuno, tra gli dei, mi bacia lo scudo. Quel bastardo vola a terra, di fianco, schiantandosi. Perde la lama. Me lo ritrovo tra i piedi che quasi c'inciampo sopra. Sbilanciato, con la lama indietro, sollevo lo scudo e picchio di taglio, sulla testa, sul viso, sopra il collo.
Una, due volte, secco.
Quello di sotto grida, quando un rumore secco accompagna il tonfo. Disarmato, con la faccia sfasciata, mi da tempo di alzare la lama e farla piovere di lato sul fianco di quella bestia che abbiamo di fianco. Ubriaca del sangue e del crudo della carne, a me non sta badando. Il gelo della lama lo piglia di sorpresa che già le budella gli penzolano di fianco nel vermiglio della vita che gli piove fuori.
- Vurro, al fianco!
Faccio a tempo a voltarmi, che lo schianto mi travolge.
Lo scudo regge, ma tra le due ali, nella spacca, s'incunea lo zifo di uno di questi bastardelli. Ringhia con la voce argentina di chi in faccia non ha peli. Parole che non conosco, suoni strani che nemmeno gli appuli. Per quanto giovane sia, ci mette forza. Mi sbilancia, sul piede più debole, con la lama voltata indietro. E quella punta magra che spinge, preme. E mi s'infilza nel fianco di un dito o poco più. Abbastanza per sentire il bruciore, abbastanza da sentirla ingombrare sotto la costola.
Pure il mastino, dietro, ferito, torna alla carica. Ha mollato il corpo inerme che straziava e si fa feroce contro di me. Pure con le budella che gli premono per uscire dallo sbreco. Li educano a puntare anche le lame. Perchè è la mia destra che cerca. Faccio forza con il sinistro per allontanare lo zifo, alla cieca vortico la destra sulla testa del molosso.
Tutto è confuso; prego solo che non sia arrivato il momento.
È Marno a salvarmi, caricando con la gamba contro il ragazzino che mi preme di fronte. Vola per aria e molla lo zifo a penzolarmi dal fianco, ficcato nella spacca dello scudo. Ho il tempo di voltarmi e finire col filo della roncola alla gola la bestia che continua a cercarmi il polso.
Attorno è il delirio di corpi che si muovono impazziti. In cinque attorno a un cavallo, mentre Aurio finisce uno dei due molossi che ci stavano di presso e gli altri si sono già lanciati verso le tende attorno alle pozze.
Spingo lontano lo scudo per far leva sull'elsa e sfilarmi questa lama dal corpo. Senza cercare la ferita, serro i denti e mi lancio dietro gli altri, addosso agli altri mastini e alle lame pesanti dei canari. Marno m'acchiappa di fianco.
- Dello!
Fa cenno con la testa. L'hanno preso in mezzo, a dieci passi.
Corriamo incontro urlando, col muro di scudi che travolge i due fanti degli ostili. Lo schianto: per contrattaccare non abbiamo altro. Le lame arrivano quando li abbiamo spiantati. Lo scontro, però, non è semplice. Questi non sono ragazzetti con gli spiedi. E le siche che maneggiano puntandoti col concavo, non lasciano spazio alle previsioni. È come battersi con il proprio riflesso. E aspettarsi di fronte sempre uno che muova la mano di Euclo, più che la diritta. È a botte di scudo che mi faccio ragione. E quando i colpi gli arrivano sul muso, quello di fronte perde sicurezza e manca l'affondo. Non posso mancare l'occasione e gli lascio sfilare il fendente sotto la scorza. Grida disperato, portandosi le mani al taglio. Affondo e me lo guardo stramazzare di fronte.
- Sta indietro, reggiti la ferita...
Poche parole di Marno che resta due passi più dietro con Dello e sto già mulinando appresso agli altri verso le capanne. I cavalieri degli ostili battono in ritirata, soverchiati quando, da dietro, le loro pietre non coprono e l'assalto lucano è più organizzato, più rigido. Scartano cercando una rincorsa, quando i nostri fratelli tagliano loro la pista.
Tra le tende, dove arrivo che già si spandono i giovani del nostro drappello, è incubo e confusione. I giovani ostili rinculati indietro per proteggere anziani e donne provano a difendersi in punta di zifo. Non hanno più le facce arroganti con cui ci lanciavano offese e pietre. Davanti alle nostre roncole sbrecciate e pesanti, già bagnate di sangue, tremano e si stringono di fianco. Cercano di offendere di punta per guadagnare spazio, ma hanno armi così tenere e magre che basta un fendente spesso a spezzargliele. O fargliele saltare di mano, prima di sfregiarli sul viso e finirli in pancia.
Siamo un morbo nero, adesso.
Spandiamo la mano e il ferro tenda per tenda, focolare per focolare. Chi si oppone passa sotto il filo del ferro. Chi si inginocchia, per capelli, finisce trascinato nel centro. Buttato a terra e pestato due o tre volte sulla testa e sulla schiena, perchè gli passi la tentazione di alzarsi o provare a far qualcosa di diverso dal pregare. Le donne, tutte quelle che hanno la faccia di chi può ancora fare sangue, prima di essere gettate da parte finiscono tutte spogliate, con i cenci strappati sul petto. Perchè certi bottini sono pesanti e vanno guardati per bene, per capire se ne valga la pena.
Smonto le speranze ad altri due o tre ragazzetti, prima che un verso attiri la mia attenzione. Un vagito. Il pianto di un lattante. Pianto disperato di un essere che deve aver fame. Troppa da urlare, non da troppo, da avere ancora fiato in petto. Non so dire perchè, invece di rispondermi come sarebbe più giusto, invece di dirmi che quella cosa che grida può attendere che la morte arrivi senza cambiare il mio passo, cerco e butto l'occhio, per trovare, vedere, capire.
Attaccati a una porcilaia, in ginocchio, non so se per nascondere se stessi o la vista di quel fagotto che strepita, ci trovo due vecchi. Hanno facce rugose, di mele avvizzite. Occhi liquidi di paura e disperazione. Lei ha una voce che non capisco, lui smozzica qualcosa nella lingua degli appuli, ma ha suoni bastardi che vengono di là dal loro mare. Tiene quell'affarino premuto in quella struttura su cui lui stesso sembra caracollato, trogolo per servire il pasto a porci e capre.
Lo scosto con una pedata. Voglio guardare. Ci scorgo quella bestiolina empia che si dimena, paonazza, con le gengive nude, disperate. Di sotto, scalcio una pedata a quei due bastardi cenciosi che mi agguantano dai polpacci per portarmi via.
Afferro quel coso che piange.
Una scossa, violenta, dalle dita al polso, alla spalla. Si spezza a metà quella scintilla di freddo e dolore. Una alla testa, una giù lungo la schiena fino nei piedi. Un tremito ghiacciato, violento.
È stato appena i polpastrelli lo hanno sfiorato. Quella voce acida di morte mi s'è infilata nell'orecchio in quel momento preciso.
La demonia è lì, dov'è sempre stata, nascosta come sempre, quando non vuole che l'avverta. Ce l'ho di fianco, col viso poggiato sulla spalla, nella mossa che fanno le amanti prima di sussurrarti piacere e sconcezze.
- Che t'avevo detto, Vurro? L'hai trovato, il tuo re...
- Taci, peste!
- Buda non ti parla più, né tu la tocchi. Se cerchi figli e vuoi portare anche lei a crepare, per prendertene un'altra fai pure... Altrimenti...
- Altrimenti cosa, figlia dell'Orrido?
- Ecco il tuo re... e di donne con cui non giacere...
Resto muto, a fissarla con disprezzo.
- Guardati attorno e fai presto. Hanno muscoli magri e fianchi leggeri. Chissà com'è che lo fanno, queste selvagge.
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Vurro dei Lucani - Hylliria Vol.1
FantasyBoschi dell'Italia meridionale. A spanne e braccia, gli stessi anni in cui Roma veniva fondata. Queste le coordinate di spazio e tempo. I Lucani sono un popolo di guerrieri feroci che abita la terra compresa tra il fiume Bradano e le coste del Tirre...