Siamo Solo Di Passaggio

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~ Episodio 3 ~






Cosa ne era stato di tutti i buoni propositi che si era prefisso mentre poco più di un'ora prima era assorto a spiegare a JiMin quali fossero i suoi intenti per quella riunione? Dov'era finita la sua volontà ferrea di dimostrare a tutti ma in special modo a suo padre di essere il migliore, di potersela cavare da solo e di non aver bisogno di ciò che il nome Kim, associato alla sua famiglia, significava per l'intera Corea del sud? Sicuramente in quel momento tutto era annegato nell'ennesimo bicchiere di whisky così come l'ultimo mozzicone di sigaretta era finito nel posacenere, schiacciato con così tanta forza da essere sbriciolato ed irriconoscibile ed era così che si sentiva TaeHyung, un piccolo mozzicone consumato e senza alcuna utilità, schiacciato dal peso del suo nome, come Montecchi e Capuleti, l'Alfa si sarebbe potuto affannare per un'intera vita eppure la linfa che la muoveva non sarebbe cambiata, era e sarebbe rimasta una rosa anche se avesse cambiato il suo nome, anche se non avesse più fatto parte della Kim Corporation sarebbe rimasto inconfutabilmente il figlio di Kim YongJoon. L'erede, il prediletto, l'Alfa purosangue, il miracolo, quante belle parole che però negli anni si erano trasformate in incubo, il diseredato, il negletto, l'Alfa rigettato, la maledizione ecco, questi erano termini che più si addicevano alla sua vita.

Il telefono del suo ufficio stava continuando a squillare da minuti ma lui era troppo obnubilato dal fumo e dall'alcool per rispondere decentemente, e nessuno lo avrebbe fatto al posto suo visto che era rimasto solo. Cosa gli era passato per la testa quando aveva deciso di dire quelle parole al suo segretario? Se lui mai avesse chiesto spiegazioni cosa avrebbe dovuto dirgli? La verità, che era ubriaco, «Sono un Alfa, noi non ci ubriachiamo, al massimo diventiamo allegri», gli venne da ridere, mille bugie a seconda della verità che si voleva nascondere, ma per TaeHyung le menzogne da raccontare e raccontarsi erano diventate troppe e difficili da gestire ma tanto non aveva nulla di cui preoccuparsi, JungKook era intelligente, sapeva di non dover fare domande anche perché aveva sicuramente molte più bugie da travestire con la maschera della verità, più di quante il piccolo TaeHyung ne aveva dette per celare i lividi alla sua mamma e le lacrime al suo papà.

Mentre fissava la città muoversi una lacrima sfuggì al suo ferreo controllo, da quanto tempo non piangeva? L'Omega aveva ragione, la sua ubriacatura era proprio strana, TaeHyung non parlava e non rideva, distruggeva e piangeva, ¨«Maledetta ubriacatura triste»¨, si asciugò in fretta la guancia e silenziò il cellulare senza tener conto di chi adesso stesse cercando di contattarlo al suo numero privato solamente perché non aveva risposto, per innumerevoli volte, a quello aziendale.

¨«Uno di passaggio?»¨, certo che non voleva esserlo, avrebbe voluto lavorare in quell'azienda per il resto della sua vita, avrebbe voluto essere assunto per le sue innegabili qualità, peculiarità che JungKook sapeva di possedere ma che inevitabilmente sembravano sempre passare in secondo piano rispetto alle sue caratteristiche fisiche ed alla sua natura di Omega ed anche questa volta che era riuscito a nasconderlo così bene, il suo secondo genere aveva rovinato tutto. Perché doveva essere proprio il compagno di Kim TaeHyung, sarebbe stato così facile per lui assecondare i capricci di quel figlio di papà, farlo sentire speciale ed unico fino a farsi portare a letto ed incastrarlo definitivamente ottenendo dal padre tutto ciò che aveva sempre sognato, ingoiò un grumo di saliva e rispose trasformando ancora una volta la bugia in verità e viceversa, «Certo che no. Solo un folle metterebbe a rischio una simile opportunità», se soltanto qualcuno si fosse mai preso la briga di mettere davanti ad uno specchio quelle verità avrebbe potuto finalmente leggerne il vero significato.

Eppure lui era quel folle, quello sconsiderato che sarebbe stato capace di rovinare ogni cosa a causa di due semplicissimi occhi vermigli e JungKook poteva già sentire il suo Lupo singhiozzare, di disperazione, no, di solitudine. O forse di incertezza. Si inchinò per nascondere gli occhi lucidi, per cacciare indietro quella parte di sé che odiava ma che era sempre stata sua, così peculiare da lasciarsi morire pur di perderla ma come avrebbe potuto rinunciare ad Ira? Come avrebbe potuto lasciarlo indietro quando, prima di essere il suo Lupo, era suo fratello, padre e madre, salvatore e carnefice.

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