I. Camicia bianca

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Incontrare. Conoscere. Ingannare. Uccidere.

Se dovessi descrivere in maniera concisa la miserabile esistenza a cui sono vincolato, lo farei così. Incontrare, conoscere, ingannare e infine uccidere. È tutto ciò di cui sostanzialmente sono capace. Ed è anche tutto ciò che, in realtà, mi piace fare. Non che io abbia sperimentato qualcosa di diverso, soprattutto nell'ultimo periodo, ma come ben ricorda il teorema della selezione naturale: la miglior sopravvivenza è l'adattamento, e se sei debole sei destinato a soccombere per mano del più forte.

Ecco grossomodo cosa mi passava per la testa mentre Jonah stramazzava a terra con una pallottola conficcata nel torace.

Era un tipo coraggioso, Jonah, e anche un po' simpatico. Ma, evidentemente, non abbastanza da evitarsi un secondo colpo al ginocchio sinistro.

Per la miseria, Jonah, ti avevo detto di stare fermo.

Un urlo agonizzante risuonò nell'aria, ma nessuno da qui avrebbe potuto sentirlo. Nessuno avrebbe potuto accorrere in suo aiuto. Così, il disturbante rimbombo che si era generato si esaurì dopo pochi istanti, fino a diventare sordo, come se non fosse mai esistito per davvero.

Feci un paio di passi indietro e sospirai, e forse per abitudine iniziai a contare i secondi mentalmente. Uno, due, tre... Quanto ci sarebbe voluto questa volta?

Mi sfuggì uno sbadiglio, poi mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa su cui sedermi, ma dopo una breve esaminazione capii che era meglio rimanere in piedi. Mi appoggiai alla parete del vicolo, in penombra, facendo attenzione a non rovinare la giacca o a macchiare la camicia. Un brivido mi percorse la spina dorsale non appena il freddo muro di mattoni aderì alla mia schiena, ed automaticamente mi strinsi di più nel giubbotto di pelle. Il mio sguardo virò nuovamente su Jonah. Non aveva ancora smesso di agitarsi, continuando a pronunciare frasi incomprensibili inframmezzate da qualche imprecazione. Si dimenava, come farebbe un pazzo nel tentativo di divincolarsi dalla stretta ferrea di due braccia possenti, ma la differenza stava nel fatto che io non lo stessi trattenendo in alcun modo. Faceva tutto da solo.

Ventidue,ventitré... Nulla.

Chissà cosa gli passava per la testa, dolore a parte. Chissà se veramente in certe situazioni la mente ripercorre tutti i ricordi felici. Chissà quali erano i suoi. Forse aveva una ragazza. Non lo sapevo,avevamo discusso quasi esclusivamente di football o di quale fosse la miglior azienda produttrice di tabacco. Di solito preferivo evitare di inoltrarmi in discorsi riguardanti affetti familiari o chissà che altro. Non faceva per me.

Cinquantotto,cinquantanove.... Ancora niente.

Maledizione. Seth avrebbe dovuto offrire stasera, o questa volta mi sarei proprio incazzato. Era la terza volta che lasciava a me il lavoro sporco e mi dava buca per qualche serata fuori città o, in questo caso, per un insulso intruglio di alcolici scadenti. Seccato, pescai l'ultima sigaretta rimasta nel pacchetto e l'accostai alle labbra. Quando l'estremità si colorò di arancione riposi l'accendino quasi scarico nella tasca dei jeans. Trovavo un appagamento perverso nel fumo, in qualche modo mi teneva sveglio. Così mi pareva, almeno. O forse si trattava semplicemente di una mia qualche insensata supposizione, un collegamento mentale che avevo assimilato così a fondo da finire con il crederlo reale. Inspirare. Espirare. Inspirare, espirare e nonpensare. Se riuscivo a concentrare l'attenzione sul ritmo costante di quelle semplici manovre, potevo facilmente estraniarmi dalla situazione scomoda ma al tempo stesso fastidiosamente familiare in cui mi trovavo. Ero quasi sul punto di perdere le speranze quando Jonah, finalmente, spirò.

Amen.

Quasi non ci speravo più. Avevo capito sin dal principio che non sarebbe stato un avversario facile, e ciò non aveva fatto che alimentare nel profondo la mia eccitazione. Avevo impiegato settimane per conquistare la sua fiducia e alla fine ci era cascato così bene che non potei che elogiare me stesso per l'ennesimo successo. Un altro lavoro impeccabile. Mi avvicinai e lo osservai un'ultima volta. La bocca era semichiusa, ma non fuoriusciva alcun sospiro, nessuna parola. Neanche un misero gemito. Il torace era immobile, gli occhi spalancati segnati dal pianto e dalla stanchezza. Intorno, il silenzio era tale da rendere percepibile il battito irregolare di un cuore.

DARK SOULDove le storie prendono vita. Scoprilo ora