IX. Medison Avenue

985 122 23
                                    

- Seth?
Chiamai non appena varcai la soglia di casa. Sperai non fosse in casa o mi sarebbe toccato sopportare le sue scemenze tutta la sera e non ero pronto psicologicamente.

- No, Pierino.
Ribattè lui ansimando, mandando a monte le mie speranze. Notai che aveva la voce rotta dalla fatica come dopo una lunga corsa. Non lo vedevo ma sentivo dei rumori strani prevenire dal salotto. Mi avvicinai cauto, sperando di non dover assistere a qualche spettacolo raccapricciante. E poi lo vidi. Il corpo mezzo nudo e sudato di Seth che faceva su e giù sul tappeto.

- Si può sapere che diavolo stai facendo?
Chiesi sospirando, lasciandomi cadere sul divano e rassegnandomi al fatto che non sarebbe mai stato un essere umano normale.

- Mi alleno!
Rispose, e continuò con le flessioni. Era goffo, decisamente poco atletico e anche parecchio ridicolo.

Sogghignai divertito.
- Lo vedo.

- Bene -, sbuffò, l'espressione corrucciata per via della concentrazione.

- Alza le ginocchia almeno...
Gli consigliai senza riuscire a smettere di ridere.

- Nah, troppa fatica. Ora non parlarmi più, sto già soffrendo abbastanza e ho bisogno di fiato.

Scossi la testa divertito e mi limitai ad osservarlo. Non passò un minuto che già stramazzava a terra con la fronte madida e il fiatone.

- Sai dove ti ho già visto?
Gli dissi alzandomi in piedi e scrutandolo da ogni angolazione possibile. Piegai la testa da un lato e risi di nuovo.

- Dove?
Chiese rotolando su un fianco e alzandosi a sua volta con qualche difficoltà.

- Hai presente quel documentario sulle balene arenate? Ecco-

Prima che riuscissi a terminare la frase prontamente mi mollò un' inaspettata ginocchiata dritta nei gioielli di famiglia. Sgranai gli occhi per la sorpresa e, per un intero e lunghissimo secondo, non percepii assolutamente niente. Un attimo dopo, la quasi piacevole sensazione di insensibilità venne troppo presto sostituita dalla fase successiva.  E lì, davvero, sentii tutto.
Mi afferrai istintivamente il cavallo dei pantaloni contorcendomi per il dolore e gettandomi, di nuovo, a peso morto sul divano.

- Pezzo di deficiente!
Strillai, e quasi non riconobbi la mia voce. Ero ancora un uomo?

Abbassai lo sguardo e con un sospiro realizzai di aver mancato per un soffio la castrazione.
Non appena riacquistai un minimo di abilità motorie mi voltai nella sua direzione e lo perforai con un'occhiata assassina.

- Ringrazia Dio, o chi per lui, che sono bloccato dalla vita in giù o ti assicuro che quelli di adesso sarebbero i tuoi ultimi respiri.

Lui ignorò le mie minacce e scoppiò a ridere - Sicuro che quelli della Sniper ti abbiano ingaggiato per la "missione speciale"? Se basta un semplice calcio nelle palle per metterti fuori gioco...

- Non parlarmi di quella merda.
Lo ammonii.

- Uuh, qualcuno è parecchio suscettibile oggi...

- Ti giuro non-

- Tranquillo, non sono ancora così masochista da istigare il leone quando sono chiuso con lui nella gabbia.
M'interruppe alzando una mano e sfoderando un tono da intellettuale che non gli si addiceva per niente.
- Detto ciò, tu hai seriamente bisogno di una sbronza, fratello. Domani sera ce ne andiamo tranquilli al Cruz e beviamo finché non ti levi dalla faccia quell'aria da depressone.

Sorrisi, non era una cattiva idea, forse. Per una notte avrei staccato la spina e avrei ignorato tutte le frustrazioni che oramai non erano che una scomoda costante nelle mie giornate.

- Facciamo mercoledì, domani sera ho un impegno.
Accettai, ricordandomi della cena con il superiore.

Subito mi rivolse un'occhiata maliziosa. Si avvicinò muovendo in maniera inquietante le sopracciglia in alto e in basso.
- Un appuntamento?

- No - Risposi secco. - Nessun appuntamento, cena di lavoro.

- Con 'cena di lavoro' intendi una cena vera, o sei diventato un fan di Hannibal Lecter? Non credo che quei politici panzoni a cui dai la caccia siano commestibili...

Alzai gli occhi al cielo.

- Smetterai mai di fare l'idiota? - dissi esasperato. - Dan deve parlarmi della missione, così finalmente avrò qualche novità.
Mentii riguardo a Dan, ma più o meno era la verità.

- Finalmente - Borbottò. - Iniziavo a sospettare che il capo fosse semplicemente preoccupato per la tua istruzione e ti avesse raccontato la storia della missione speciale per incentivarti a tornare a scuola.
Prese a ridacchiare all'idea.

Quindi non ero stato l'unico a pensarlo. Se si fosse rivelata una fregatura di questo genere non avrei esitato un secondo prima di mandare all'altro mondo qualche simpaticone del Primo Settore.

- Tuttavia, se così fosse, sbranali pure Simba.

Con un paio di birre e qualche imprecazione di troppo io e Seth proseguimmo la nostra bizzarra chiacchierata fino a tarda notte ed il mattino dopo ne pagai tutte le conseguenze.  Mi alzai tardissimo, mezzo intontito e con l'alcol che ancora mi girava nello stomaco. Saltellai per la stanza come una donna tentando di infilare i jeans, e alla fine decisi di fare colazione in macchina per guadagnare tempo. Infilai una brioche confezionata nella tasca del giubbotto e prima di uscire di casa alzai il medio a Seth che ancora dormiva della quinta. Non aveva mai un cazzo da fare quel deficiente. La giornata a scuola passò molto, molto lentamente salvo le due ore di educazione fisica che decisi di trascorrere in infermeria per dormire un po'. La professoressa Cooper si era preoccupata così tanto per il mio improvviso mal di stomaco che quasi mi sentivo in colpa per averla presa in giro. Quasi. Scorsi Amélie un paio di volte per i corridoi e alla mensa, ma non scambiammo più di due parole. Mi ringraziò di nuovo per la spremuta e poi si rintanò in biblioteca a studiare. Zac, al contrario, mi tartassò di domande per tutta la pausa pranzo.

- Quindi doveva sul serio portarti degli appunti...
Commentò un po' deluso.

- Già.
Dissi, facendo solo aumentare il suo cipiglio.

- E io che speravo in qualche risvolto più interessante.
Mise il broncio ed io mi lasciai scappare una risatina. 

Il pomeriggio non tornai a casa, ma decisi di passare un po' di tempo in palestra e poi al distretto di polizia, chiedendo per l'ennesima volta se ci fossero notizie riguardo a mio padre. Ma, come previsto, non ve n'era alcuna. In tutta la giornata non ero praticamente riuscito a concludere nulla di buono, perciò non vedevo l'ora di raggiungere il dannato Louis di Madison Avenue e fare chiarezza sulle manovre della missione.
Avevo intenzione di indossare qualcosa di meno informale rispetto al solito ma la cravatta che avevo provato mi metteva parecchio a disagio, così vi rinunciai e uscii con l'immancabile camicia bianca. L'esterno del ristorante era esattamente come lo ricordavo: pacchiano oltre i limiti. Il maître mi raggiunse non appena oltrepassai l'ingresso.

- McLyne - mi presentai svelto. - deve esserci una pren-

- Oh, signor McLyne, da questa parte, mi segua.

Mi guidò attraverso il ristorante superando le due sale principali e accostandosi ad una lunga fila di séparé decorati con fantasie orientali. Mi fece cenno di superarli ed io annuii, ringraziandolo educatamente.

- La sta già aspettando, tra poco arriveremo per le ordinazioni.
Detto questo si congedò.

Rimasi imbambolato a fissare il vuoto per qualche istante ma la mia impellente curiosità prese il sopravvento e scansai, forse con troppa energia, il séparé che divideva il buio corridoio alle mie spalle dalla stanza fin troppo illuminata di fronte a me.
Ci misi un attimo ad abituarmi alla luce abbagliante, ma non dovetti aspettare molto prima che tutto diventasse più nitido e distinto. Feci un secondo passo, e questa volta mi trovai davvero di fronte all'individuo più potente, e sfuggente, degli interi Stati Uniti.

E lì, rimasi.

DARK SOULDove le storie prendono vita. Scoprilo ora