XXXIV. Gentiluomo

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La cerimonia al piano di sotto non aveva cambiato i connotati, proseguiva nella sua sfilza di presentazioni diabetiche e circostanziali strette di mano. Mi dava il voltastomaco. Zigzagai per un po' senza avere una precisa idea di cosa fare, rubacchiando di tanto in tanto qualche salatino dal buffet e guadagnandomi le occhiatacce di alcuni commensali. Non avevo ancora cenato, Seth mi aveva letteralmente trascinato lontano dal frigo per giocare all'allegro trasformista. Riuscii ad assaggiare un paio di affettati avvolti nella pasta sfoglia, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di altri camerieri che sembravano intenzionati ad acciuffarmi per costringermi a portare a spasso qualche altro vassoio.

Seth, in piedi al mio fianco, non perdeva di vista Bruce neanche un istante. Registrava con lo sguardo ogni suo movimento. Quando era concentrato mi metteva a disagio; non ero abituato a vederlo lavorare con così tanta serietà.

- Sembra stanco.-, mi disse. - Più del solito. Ma il farmaco non sembra ancora aver fatto il suo effetto.

Sapevo di doverlo rassicurare.
- Non preoccuparti così tanto. Se non dovesse funzionare, ci saranno altri modi per farlo fuori. - Vidi Bruce fare un piccolo cenno d'intesa a Seth, che ricambiò. - Certo, sarà più difficile una volta che non potrai prevederlo. Ma niente è impossibile.

- Spero vada tutto liscio, davvero. Non sono tagliato per situazioni così estreme. -, sbuffò.

Gli poggiai una mano sulla spalla. - È per questo che sono qui.

Annuì, ringraziandomi. - Dunque, se tutto va secondo i piani, la bomba non esploderà.

- E se il farmaco agisce come si deve, Bruce ci saluterà dall'alto dei cieli. -, terminai per lui. - È un buon piano, e la copertura ti protegge da qualsiasi accusa. Andrà bene.

- A proposito della copertura... -, mi sorrise, un sorriso carico di allusioni. - Ho una sorpresa per te.

Lo fissai con sospetto. - Sorpresa?

- Capirai quando sarà il momento. Ora goditi la festa, al resto ci penso io.

Alzai gli occhi al cielo. Più mi guardavo intorno, più ogni cosa mi sembrava lontana dal mio prototipo di divertimento.

- Sai che intendo - si corresse. 

Annuii e titubante mi defilai. Amélie, in fondo alla sala accanto a due ragazzi che mi davano le spalle, mi salutò con la mano. Sotto le lamentele di un altro cameriere rubai sovrappensiero un bicchiere dal vassoio che stava pascolando, e ne presi un sorso. Poi un altro. Tanto valeva trangugiare quelle bollicine per signorine perbene finché non fossi riuscito a rimediare qualcosa di serio al bancone del bar, magari con indosso qualcosa di meno imbarazzante. Perché non mi ero portato un cambio di vestiti?

Tenni d'occhio Amélie, posai il bicchiere su un tavolo libero e mi avvicinai. Il ragazzo castano era Jason, suo fratello. Indossava una camicia verdone lasciata a svolazzare sopra i pantaloni beige. L'altro aveva i capelli ricci, di un bruno scuro, una paio di occhiali da vista Ray-Ban e una giacchetta Burberry. Cercai di censurare i suoi orrendi mocassini blu per proteggere la vista, ma alla fine ci rimisi un paio di diottrie. Mi sorbii i loro sguardi curiosi, mentre con un po' d'irritazione crescente aspettavo che Amélie sciogliesse quel gelido imbarazzo.

- Per me un Cosmopolitan. - osò dire Mr. Burberry prima che lei aprisse bocca.

Amélie drizzò la schiena, rabbrividendo, e Jason soffocò una risata, mentre io riflettevo su come dovessi angolare meglio lo sputo perché gli arrivasse dritto in mezzo alla fronte. - Abbiamo solo latte di capra, dolcezza.

Jason non si trattenne e si voltò per sfuggire alla mia occhiata assassina, Amélie sembrava mortificata mentre cercava di spiegare. - Lui non... lui è Cam, un mio... uhm, compagno di classe.

DARK SOULDove le storie prendono vita. Scoprilo ora