XVIII. Incontrare

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Il mattino seguente andò peggio.
Se da un lato potevo ritenermi fortunato a non essermi ritrovato con del ghiaccio nelle mutande, dall'altro non potei dire lo stesso a proposito delle grida di Seth, capaci di raggiungere i diecimila decibel in tempo zero.

- Perché? Dimmi perché hai fatto una cosa del genere proprio a me!

Aprii gli occhi e lo ritrovai nella mia stanza con indosso soltanto un asciugamano. Era fuori di sè. Passai in rassegna tutte le mie malefatte, ma ce n'erano così tante che alla fine lasciai perdere. Così, Senza scompormi eccessivamente, rimediai con un calcio, facendolo crollare al mio fianco.

- Vedi di darti una calmata, pezzo d'idiota. E vai a vestirti.

- No, Cam. Prima voglio sapere perché l'hai fatto.

- Si può sapere di che cazzo stai parlando? - Adesso stavo iniziando davvero a perdere la pazienza. Non che ne avessi mai avuta molta.

- Che ne è stato delle mie adorate brioches? Confessa!

- Oh, quelle - Non avevo neanche provato a pensare che si trattasse di qualcosa di serio. - Le abbiamo mangiate io e Claire, ieri sera.
Sospirai, maledicendolo ancora una volta per avermi risvegliato dal dal mio stato di carezzevole incoscienza per un motivo tanto sciocco.

Il mondo gli crollò addosso. - Tutte?

Annuii. - Stavamo guardando annunci per degli appartamenti su un sito internet e ci è venuta fame.
Claire aveva telefonato ai suoi genitori in Arizona chiedendo loro di farle avere dei biglietti aerei per raggiungerli, ansiosa di togliere il disturbo da casa nostra. Tuttavia, le era toccato arrendersi di fronte alle aspre e colorite parole della madre che invece approfittò dell'occasione per rimproverarla di essere stata troppo incosciente e avventata a voler convivere con un uomo che non l'amava. Su questo ero d'accordo, ma io e Seth ci rassegnammo all'idea di ospitarla a tempo indeterminato, almeno finché non avesse trovato un lavoro e un appartamento.

- Certo che mi fai proprio incazzare!

Seth era ancora sullo stesso ritornello. Non capivo perché si stesse impuntando in quel modo, dopotutto si trattava di brioches abbastanza ordinarie.

- Okay, ascolta, facciamo così - cercai una soluzione che mettesse fine a quella folle discussione. - Ora tu la smetti una volta per tutte di sbraitare o di procurarmi l'infarto ogni volta che decidi di svegliarmi ed io ti assicuro, anzi giuro, che questa casa avrà sempre una scorta di quelle maledette merendine, e ora esci dalla mia stanza e mettiti qualcosa addosso!
Mentre parlavo avevo dimenticato di respirare. E poi non me n'ero accorto, ma mi era venuto spontaneo alzare la voce e infierire sul suo umore già piuttosto a terra. Ma Seth, le cui reazioni erano sempre opposte alla norma, scoppiò a ridere.

- Okay bello, ma datti una calmata che ti vengono le rughe.

Uscì ed io potei finalmente ricominciare a chiedermi che cosa avessi mai fatto di così grave per meritare un amico del genere. Poi, trovando fin troppi esempi, tirai uno sbuffo e iniziai a preparare ogni cosa per la mattinata. Afferrai con noncuranza qualche quaderno, lanciando un'occhiata di sconforto all'orologio. Non ero certo che il mio stomaco e i miei nervi potessero reggere tutto questo stress accumulato.

Arrivato a scuola parcheggiai l'auto nel cortile. Lasciai che il cappuccio della felpa mi nascondesse il viso e tirai dritto non appena scorsi un cartello che indicava la direzione da seguire per raggiungere la segreteria. Mi concentravo sullo scricchiolio provocato dalla ghiaia a contatto con le mie scarpe. Era rilassante, ma non abbastanza.
La segretaria era una donna sulla cinquantina con i capelli corvini e piuttosto corti, lo sguardo racchiuso in un paio di occhiali enormi. Mi rivolse uno sguardo assonnato, e quasi mi sembrò di poter leggere i suoi pensieri. Ero sicuro mi stesse silenziosamente maledicendo per averla risvegliata dal trance. Me ne preoccupai a malapena, tanto avevo intenzione di fare in fretta.

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