XXXVIII. Tomahawk

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- Ancora niente? - Chiesi impaziente. 

Erano le dieci del mattino e Rachel smanettava sul computer da più di tre ore. Aveva aperto una ventina di pagine sul desktop e scritto quasi un migliaio di righe di programmazione. Io ero seduto di fianco a lei sul divano, ma finora non ero stato di alcun aiuto. Avevo preparato il caffè e poi ero rimasto a fissare lo schermo senza dire una parola. Seth era passato in soggiorno per salutarci prima di accompagnare Claire a lavoro. Vederli inisieme mi faceva ancora uno strano effetto; erano senza dubbio una coppia bizzarra. 

Rachel sistemò i capelli corti dietro l'orecchio e fece scrocchiare le nocche. Le lanciai un'occhiataccia, ma decisi di non rimproverarla. Infondo mi stava facendo un favore. 

Prima di ricominciare a scrivere emise un lamento carico di frustrazione. 
- É più difficile del previsto - brontolò - Questa crittografia è indecifrabile... 

- Posso esserti d'aiuto? - chiesi con poche aspettative, ma lei scosse la testa. 

- Ho bisogno del mio computer -  annunciò. Spense il portatile e lo appoggiò sul tavolino da caffè, iniziando a fissarlo torva. Raramente l'avevo vista così scoraggiata di fronte a un problema informatico. Si alzò dal divano e iniziò a camminare avanti e indietro. 

- Forse con un'altro sistema operativo potrei riuscirci... - disse a se stessa - Da qualche parte devo avere ancora i miei vecchi volumi in Linux, devo tornare a casa per controllare. 

Effettivamente il suo computer era molto più all'avanguardia del mio. Ma era lei l'informatica esperta, dopotutto. 

- Chiamami se ci sono delle novità -, dissi porgendole la borsa.

- Lo farò - disse e la indossò, incamminandosi verso la porta. Rimase qualche secondo in piedi sull'uscio. 

- Mangia qualcosa di nutriente. Oppure esci. C'è un bel sole oggi. Insomma, non trascurarti e non rimanere chiuso in casa. 

Una volta rimasto solo decisi di seguire il suo consiglio. Non perché di punto in bianco mi fossi messo ad ascoltare Rachel, ma perché avevo voglia di tenermi occupato. Preparai una frittata con uova e spinaci e la mangiai lentamente guardando il notiziario. Il pomeriggio avevo già fatto programmi con Byron e i ragazzi. Raggiunsi il campo a piedi in meno di venti minuti e li trovai già impegnati nel riscaldamento. Corricchiai per qualche minuto e scambiai due parole con Ned e Byron, mentre Josh e Darren, il ragazzo dai tratti orientali, si esercitavano nei tiri liberi. Giocammo due partite da quaranta minuti suddivise in tempi da venti.

- Andiamo a bere qualcosa? - chiese Josh a fine match, facendo ruotare il pallone sul dito indice.  Abbandonammo il canestro per lasciare spazio agli altri giocatori che erano in attesa. 

- Se ci vedono entrare così ci sbattono fuori dal locale in un nanosecondo - replicò Ned indicando le nostre magliette grondanti di sudore. Io e Darren annuimmo in accordo. 

- Possiamo fare un salto a casa mia, se volete  -, propose Darren. 

L'appartamento di Darren distava pochi minuti dal campo. Era un piccolo bilocale, molto funzionale e ordinato. Ci abitavano solo lui e la sua ragazza, che però non era in casa. Seguiva dei corsi di pittura serali e sarebbe rincasata più tardi. Ci lasciò accomodare al tavolo della cucina, mettendo al centro alcuni snack proteici e delle bevande energetiche. Fu Ned il primo ad intavolare una conversazione. 

- Allora Cameron, raccontaci qualcosa di te. Vai ancora al liceo? 

- Sono all'ultimo anno. 

- Quindi tu e Darren siete coetanei - osservò Byron - Lui sembra ancora un ragazzino, mentre tu...

DARK SOULDove le storie prendono vita. Scoprilo ora