XXIV. Lenny

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- Signor McLyne, lei sa bene che in questa scuola abbiamo delle regole precise da rispettare. - Esordì il signor Mayer, con tono serio e pacato, sotto lo sguardo compiaciuto del professor Wilson. - Ora, se fino a questo momento lei non avesse mostrato un comportamento più che riguardoso mi vedrei costretto a sospenderla, ma per questa volta ci passerò sopra, anche perché fortunatamente nessuno si è fatto male.

Annuisci, ricordai a me stesso come un ritornello. Inutile puntualizzare come non stessi affatto prestando attenzione alle sue parole. La mia concentrazione era interamente assorbita dalle indagini che conducevo all'interno della stanza. Scrutai ogni angolo con accortezza estrema. Trovavo improbabile che Grace si fosse sbagliata, ma niente sembrava trovarsi fuori posto. L'ufficio era poco arredato: uno scaffale pieno di manuali e vecchi registri, una fotocopiatrice e una scrivania, sulla quale erano disposti disordinatamente un computer fisso piuttosto datato, una grossa tazza di caffè e qualche penna a inchiostro. Insomma, nessun elemento sospetto. Nessuna telecamera. 

- Spero vivamente che in futuro non si ripeta un altro episodio del genere, o non sarò più così comprensivo. Sono stato chiaro?

Annuii di nuovo senza rispondere. Forse avrei dovuto almeno fingere di essere dispiaciuto per l'accaduto ma, francamente, l'immagine di Mark Faylon che se la faceva sotto era più esilarante di quanto avessi previsto.

- Molto bene - concluse. - Professor Wilson, lei torni pure in classe. Al resto ci penso io. 

Il professore girò i tacchi, eclissandosi in corridoio. Quando i suoi passi furono abbastanza lontani, Mayer si schiarì la voce. 

- Giovanotto - disse in tono completamente diverso. - Non sono qui per criticare i tuoi metodi, ma non c'era bisogno di causare tutto quel trambusto.

- Era una questione personale - lo informai mentre ridacchiava. - Non ero a consocenza della sua copertura, Signore.

- Lenny- mi corresse. - E piantala con tutta questa formalità. Dopoutto siamo colleghi.  

Lenny, ovviamente non conoscevo il suo vero nome, era stato il mio precettore. Tutto ciò che sapevo, era stato lui ad insegnarmelo: come effettuare un pedinamento, come mentire perfettamente, come maneggiare a regola d'arte un'arma da fuoco. Aveva trovato una pietra grezza e l'aveva levigata fino a generare una letale macchina da guerra. 

- Ti trovo bene - continuò senza abbandonare l'ironia. - Ti piace la scuola? Hai fatto amicizia?

- Ci sono delle novità, Lenny? O sei qui solo per un saluto?

- Ho un paio di aggiornamenti da darti, ma nessuna buona notizia. 

- E quando mai... 

- Prima di tutto lasciami raccontare come sono finito qui. Non sei sorpreso di vedermi? Non hai fatto una piega quando sei entrato, e so benissimo che non hai ascoltato una sola parola del mio illuminante discorso educativo. Ti ho insegnato proprio bene, non c'è che dire -, annuì per complimentarsi con sè stesso. 

- In realtà ero sorpreso, all'inizio. Non posso credere che tu ti sia fatto convincere a fare questa... cosa. Quanto devi essere annoiato?

Conoscevo il suo carattere impetuoso e spericolato. Nelle liste di Lenny comparivano i criminali più spietati che sfuggivano alla polizia: pluriomicidi e stupratori erano il suo pane quotidiano. Non aveva mai avuto bisogno di una copertura, era un sicario vero e proprio, addestrato a intervenire solo in situazioni estreme. Era completamente diverso da noi. 

- Sono il rettore di un Liceo, lo Stato mi paga uno stipendio. Ormai sono un uomo onesto - scherzò di nuovo.  

- Dalla a bere a qualcun altro. La Sniper starà sborsando una vagonata di soldi per tenerti buono su quella  sedia. 

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