Capitolo 1

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Un rumore non identificato mi risveglia dal sonno profondo in cui ero crollata. Sollevo lentamente le palpebre e, nel mentre, cerco di mettere a fuoco la visione dell'ambiente circostante, apparentemente non familiare. A illuminarmi la visuale è la luce artificiale proveniente da un piccolo lampadario appeso al soffitto, che a quanto pare è sempre rimasto accesso.

Ruoto il mio corpo facendo aderire completamente la schiena contro il materasso. Un'ondata di freddo mi pervade la colonna vertebrale e, in quell'istante, realizzo di essere nuda.

Strofino gli occhi, ancora gonfi per il sonno, con i palmi delle mani e cerco di rimettere insieme i pezzi del puzzle. Giro la testa dalla parte opposta e il mio sguardo cade sulla figura spoglia di un ragazzo che mi sta dando le spalle mentre Morfeo lo continua a cullare tra le sue braccia.

In quel momento, tutti i ricordi della sera precedente - o meglio, di questa notte - riaffiorano nella mia mente. Mi ero concessa a un ragazzo che non ha mai smesso di lanciarmi occhiatine per tutta la serata, e proprio con quel ragazzo mi trovo adesso nuda nello stesso letto, all'interno di una camera in cui non ero mai entrata prima d'ora.

Nella casa non vola una mosca. La musica assordante che riecheggiava nell'aria la sera prima sembra essere stata risucchiata assieme a tutta quella vastità di ragazzi di cui l'abitazione era pullulante.

Mi metto a sedere, non curandomi del lenzuolo che scivola delicatamente dal mio petto lasciandomi scoperti i seni. Mi prendo qualche secondo per tornare con i piedi per terra e svegliarmi mentalmente dallo stato di trance in cui ero caduta fissando il vuoto.

Dopo interminabili istanti, decido di alzarmi. Recupero l'intimo e il vestito striminzito che avevo addosso ieri sera, ritrovandoli sparsi per tutta la camera, ma prima di abbandonare la stanza rivolgo un'ultima occhiata attenta al ragazzo che fino a dieci minuti prima dormiva con me.

Dal lenzuolo che avvolge il corpo emerge solo parte della spalla, i cui muscoli contratti affiorano dalla superficie mulatta della sua pelle, e il retro della sua chioma scura, i cui capelli ricadono morbidi sulla federa bianca del cuscino.

Ricordo vagamente il suo viso, ma non mi preoccupo a rispolverare la sua immagine nella memoria. Quello che è successo questa notte resterà isolato in queste quattro mura, così come tutte le altre avventure "amorose" in cui vengo coinvolta, delle quali non ricordo niente, né con chi né dove; la sola cosa che resta ancorata al mio cervello è l'emozione che provo, è l'emozione che io ricerco in questi rapporti da una botta e via grazie alla quale riesco a sentirmi viva.

Afferro il telefono dal comodino ed esco da quell'ambiente. Nel corridoio domina il caos più totale, sembra la stanza degli oggetti smarriti dell'università. Sono costretta a camminare con gli occhi fissi per terra se non voglio ritrovarmi con la faccia spiaccicata contro il pavimento.

Scendo quelle che, in teoria, dovrebbero essere scale ma che in pratica sono diventate un percorso a ostacoli. E se il corridoio del piano di sopra è stravolto dalla confusione, il piano di sotto è una vera e propria discarica, con addirittura ragazzi sdraiati sul tavolo della cucina o per terra, con addosso delle sedie.

Accelero il passo perché la visione di tutto quel disordine mi stava facendo impazzire. Traggo un sospiro di sollievo quando l'aria fresca investe il mio viso non appena spalanco la porta di ingresso. Nel giardino è parcheggiata ancora qualche macchina e tra queste non mi risulta difficile individuare quella della mia amica Rachel, con la quale ero giunta fin qua.

Ma al sollievo provocato dalla consapevolezza di saperla ancora nei paraggi e dalla conseguente possibilità di tornare a casa con lei prende ben presto il posto un'altra consapevolezza, quella legata al fatto che i vetri della sua macchina sono completamente appannati e questo può significare solo una cosa.

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