Capitolo 4

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«Tu sapevi che Schopenhauer aveva un barboncino?»

Sollevo gli occhi dal portatile che tenevo sulle gambe, ora incrociate, e li indirizzo verso il corpo disteso di Rachel. Ha la pancia adagiata sulla grande distesa d'erba del campus nella quale piccole stradine si diramano e conducono in svariate direzioni. Le sue gambe si muovono a intervalli regolari avanti e indietro, facendole avvicinare prima alla schiena, poi verso il terreno.

«In realtà ne ha avuto più di uno» prosegue, mentre con un gesto automatico sistema la posizione degli occhiali, spingendo la spessa montatura nera verso la cima del ponte nasale con l'indice destro. «E li chiamava tutti Atma.» La mia amica ruota il viso ovale nella mia direzione, concludendo con un: «Non è adorabile?»

«Abbiamo dei concetti di "adorabile" diversi, io e te.»

Mi rivolge una linguaccia, prima di dedicarsi nuovamente al suo studio filosofico, riprendendo a evidenziare le lunghe frasi di inchiostro incise sul libro. Io, invece, mi dedico alla ricerca di possibili persone disposte ad assumere una ragazza di 19 anni in un qualche posto di lavoro. Niente, però, sembra convincermi.

«Hai trovato qualcosa?» mi domanda Rachel dopo che mi sono lasciata scappare un sonoro sospiro che le sarà giunto forte e chiaro nelle orecchie, lasciate scoperte dai lunghi capelli lisci ora raccolti in una coda alta color bruno.

Scuoto la testa, prendendo a scrollare velocemente la pagina Internet in cui ho vagato per una buona mezz'ora.

«Non ci credo che nessuno sia disposto ad assumere una ragazza senza laurea.»

«Non è questo il punto» allontano il pc dalle mie gambe, lo appoggio delicatamente sui fili d'erba e faccio aderire la mia schiena contro il prato, sdraiandomi. Giro il capo in direzione della mia amica, che con il busto lievemente sollevato mi scruta attenta. «Solo che c'è una grande differenza tra lavorare e sfruttare. Non ho intenzione di rinunciare alla mia vita per quattro soldi.»

«Mh» Rachel prende a mordicchiare il capo della matita, già consumata a causa delle numerose dentare ricevute. I suoi occhi verdi, la cui forma all'insù spicca grazie alla sagoma degli occhiali, mi fissano intensamente, come se stesse decifrando sul mio volto una frase da poter poi pronunciare per aiutarmi. «Hai mai pensato di fare la babysitter?»

Sbatto un paio di volte le palpebre.

«Insomma» prosegue lei, ruotando con uno scatto l'intero colpo e mettendosi a sedere. Avvolge le braccia intorno alle ginocchia congiunte e che rannicchia contro il petto. «Sei responsabile, matura, ami i bambini... saresti perfetta secondo me.»

«Ma amare i bambini è un conto, saperli trattare è un altro. Credo sia una responsabilità troppo grande per me.»

«Andiamo Lee, ricordi quando abbiamo accudito il cugino piccolo di Taylor? Sei stata incredibile, voleva stare solo con te.»

Resto a rifletterci su. Quando l'anno scorso a Taylor è stato affidato il cugino di 3 anni dato che i genitori di quest'ultimo dovevano sbrigare un impegno urgente fuori città, lei non ci ha pensato due volte prima di chiamare me, Rachel ed Erica e implorare il nostro aiuto, non sapendo come gestire il piccolo Mark. E in effetti, sebbene non siano mancati i momenti in cui il bambino non smetteva di strillare e a noi veniva voglia di strapparci i capelli, devo ammettere che tutto sommato l'abbiamo fatto divertire e non gli abbiamo fatto mancare niente. O almeno, io l'ho fatto divertire e non gli fatto mancare niente, le altre si sono limitate a scaldargli il latte e a passarmi i pannolini quando serviva.

«Ci posso pensare» ammetto alla fine, mettendomi a mia volta a sedere e raddrizzando la schiena.

«Grande! Passa il computer.» Nonostante la richiesta, Rachel si allunga e afferra il pc da sè. Clicca alcuni tasti sulla tastiera nera, digita qualcosa sulla schermata e infine me lo riporge.

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