Capitolo 10

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«Kaylee?»

Sento una voce calda chiamarmi, o forse me lo sono immaginato. Di fronte a me vedo solo l'ondeggiare delle pareti a causa del senso di stordimento e di vertigini in cui sono caduta. Il petto si alza e si abbassa a un ritmo frenetico nella speranza di catturare quanto più ossigeno possibile ma ogni respiro si rivela vano e finisce per morire in gola.

«Che ti prende Kaylee?» Non me lo sono immaginato. Il corpo di Ryan si palesa improvvisamente di fronte a me, inginocchiandosi per raggiungere la mia altezza.
La vista offuscata dalle lacrime che trattengo non mi permette di distinguere la sua espressione. Vorrei rispondergli, dirgli che va tutto bene, che non ha il diritto di vedermi così vulnerabile, di andarsene e lasciarmi sola, ma tutto ciò che fugge dalle mie labbra sono degli ansimi disperati.

«Kaylee, adesso stammi a sentire» prosegue, e io sfrutto la poca forza che ho in corpo per scuotere la testa in segno di negazione. Se ne deve andare, voglio stare da sola... ho bisogno di stare da sola.

«È un ordine, non una domanda.» Con entrambi i palmi mi blocca il viso premendo sulle guance e indirizzando il mio sguardo verso il suo. «Devi respirare immaginando di disegnare un quadrato. Seguimi: fai finta di disegnare una delle quattro linee ed inspiri per tre secondi.» Cerco nuovamente di scuotere la testa ed oppormi ma la sua forza tiene il mio viso completamente fermo.

«Mi vuoi dare retta per sola una volta? Disegna questa cazzo di linea ed inspira» ripete marcando maggiormente la voce. Nel poco che riesco a distinguere, intravedo i suoi occhi castani incupirsi nella solita occhiata che non ammette risposta.

Alla fine, stremata dall'attacco di panico, cedo ai suoi ordini. Immagino mentalmente una linea rettilinea e, per tre secondi, incamero tutta l'aria disponibile nei polmoni.

«Bravissima. Adesso espira per altri tre secondi mentre immagini di disegnare un'altra linea.» Ed eseguo quanto detto: butto fuori l'aria trattenuta mentre compongo con la mente un ulteriore tratto del quadrato.

«Ora trattieni tutto di nuovo per tre secondi mentre disegni la terza linea.» Nel seguire i suoi consigli, percepisco il respiro regolarizzarsi un minimo e il tremore andare a scemare.

«Bene, per finire rilascia il respiro per tre secondi e disegna l'ultimo tratto di quadrato. Ripeti tutti i passaggi fino a quando non va meglio.» E così, dopo aver composto un quadrato immaginario per altre cinque volte, sento il battito normalizzarsi. Appoggio la schiena contro la parete del corridoio e mi concedo qualche minuto di tregua mentre adagio il capo contro il muro, sollevando il viso verso l'alto. Adesso il petto si solleva a ritmi regolari e la vista è diventata più nitida.

Accanto a me, Ryan è seduto per terra con un ginocchio sollevato contro il petto e l'altra gamba stesa sul pavimento.

Avrei tante cose da dire in questo momento. Vorrei ringraziarlo, vorrei chiedergli come conoscesse questo metodo, vorrei capire cosa l'ha spinto ad agire per aiutarmi, vorrei domandargli il motivo per cui si trova qua adesso e non in segreteria come avremmo dovuto fare. Tante cose vorrebbero trovare fiato in me ma ogni interrogativo si prosciuga in gola, riducendosi a un silenzio interrotto da un rumoroso vociare di sottofondo.

È lui il primo a mettersi in piedi. Si piazza di fronte a me, le mani nascoste nelle tasche dei jeans e il viso abbassato verso la mia direzione.
«Andiamo, prima che si accorgano che manchiamo.»

Premo le braccia contro il pavimento e, con la poca forza che ho riacquistato, mi metto in piedi. Solo a questo punto Ryan inizia a camminare, io lo tallono silenziosamente.

Ci riaccomodiamo nelle poltrone di prima ancora immersi nel buio scaturito dal black-out e, per fortuna, della segretaria ancora non vi è nemmeno l'ombra. Dopo un paio di minuti, le luci si riaccendono e tutto torna alla normalità, fatta eccezione per il temporale che prosegue imperterrito.

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