Capitolo 18

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«Che c'è? Perché ti sei fermata?» gracchia quell'uomo che ormai da tempo ha perso i connotati di colui che ritenevo essere mio padre.

Così, cerco di riprendere il controllo dei miei arti e fingere che la sua presenza non mi turbi, sebbene sappiamo entrambi dell'effetto sgradevole che in realtà mi provoca.

«Puoi entrare, non ti mangio» continua, mentre mi avvicino per inerzia al frigo che apro. I miei occhi iniziano a vagare all'interno senza un obiettivo preciso da inquadrare, come se la sua presenza mi avesse fatto dimenticare il motivo per cui sono scesa. Poi, intercetto un po' di pizza rimasta dalla sera prima. Afferro il cartonato e riverso il contenuto in una teglia che inserisco dentro al forno, per riscaldare il trancio. In tutto questo non vola una mosca, si sente solo il masticare di mio padre. Un silenzio che sento gravare sulle spalle che rivolgo a quella figura, assieme al suo sguardo.

«Perché non ti siedi? E' da un po' che non mangiamo insieme» ma dal suo tono traspariva tutto fuorché l'intenzione di trascorrere un po' di tempo in serenità con sua figlia. Sembra più rivolto a prendermi in giro, a beffarsi della paura che sa di incutere su di me.

Ma pur di non andargli contro, annuisco. Recupero la pizza che nel mentre si era riscaldata e mi siedo nell'angolo opposto al suo, mettendo quanta più distanza tra noi. E' un'agonia.

«Come sta andando l'università?» indaga con sguardo inquisitorio che io mi rifiuto di ricambiare. Sento poi un suo sputo, probabilmente per levarsi tra i denti il nocciolo di un chicco d'uva.

«Bene.»

«Di poche parole stasera, eh?»

Tu sei di poche parole da quando è morta la mamma, avrei voluto dire. Mi limito ad assecondare il silenzio. Quantomeno non è ubriaco, di solito ad accompagnare la sua cena sono un'infinità di bottiglie di birra che, per mia fortuna, adesso mancano.

«Hai ricominciato a lavorare?» A questa domanda blocco la mano a mezz'aria, insieme al pezzo di pizza.

«No» cerco di non tradire il mio stato d'animo con una voce che vorrebbe tremare ma che tento di contenere.

«Sei sicura?»

«Si» avrei voluto capire il motivo di quella domanda, ma volevo apparire il meno interessata possibile.

«Allora questi da dove vengono?» Quando sollevo lo sguardo, intercetto mio padre che sventola una serie di banconote che agguanta nella mano, stropicciandole. Un pezzo di cibo mi va di traverso ed inizio a tossire.

«Dove li hai trovati?» Che domanda idiota. Era ovvio, l'aveva rifatto: aveva ficcato il naso in camera mia, nei miei cassetti, nei miei luoghi privati. E per la seconda volta come anni fa, era riuscito a trovare i miei risparmi che credevo di aver nascosto per bene. Invece no, nemmeno dentro i libri i miei soldi sono al sicuro.

«Dovresti saperlo, d'altronde li hai nascosti tu» li sbatte sulla superficie del tavolo con violenza, spiaccicando il palmo sopra. Sobbalzo e la forchetta mi scivola dalle mani. «Credi che sia stupido Kaylee? Credi di riuscire a prendermi per il culo?» alza la voce e si mette in piedi con uno scatto. Poi, avanza di un passo verso di me.

Sento il respiro annodarsi a livello della gola. Non riesco a rispondere. «Allora?» Mi ha raggiunto, adesso lo ritrovo a pochi centimetri da me. Sento il suo fiato premermi sul collo e gli occhi scuri divorarmi viva. «Hai ripreso a lavorare in quel locale di merda?» chiede senza smettere di fissarmi. Io, invece, ho lo sguardo fisso sul piatto di fronte a me, con la cena abbandonatavi sopra.

«Rispondi cazzo!» strilla, spintonando improvvisamente la sedia accanto a me che fa scaraventare per terra, provocando un gran boato. Inizio a tremare ma cerco di nascondere le mani tra una coscia e l'altra. «No.»

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