Capitolo 11

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«Stammi a sentire» esordisco io dopo attimi interminabili di silenzio in cui non abbiamo fatto altro che vagare per l'aula che avremmo dovuto sistemare mentre osservavamo il nulla cosmico.
«Mettiamo da parte tutte le ostilità o qualsiasi cosa sia e collaboriamo, così prima finiamo, prima usciamo da qua.»

Ryan non mi degna di una risposta. Continuando a rivolgermi le spalle, si avvicina a un armadietto collocato in un angolo della stanza e da là estrae una scopa e una palette. Li afferra rispettivamente ed inizia a spazzare. Immagino che questo sia il suo modo per dire che è d'accordo con me.

Agguanto gli altri utensili e inizio a pulire la parte opposta della stanza. Non nego che, con la coda dell'occhio, mi ritrovo spesso a fissare i muscoli tesi che emergono dalla semplice maglietta bianca che avvolge la sua schiena tonica, per non parlare delle braccia in continua tensione nelle quali accenni di vene sporgenti si diramano fino al dorso della mano.

Il David di Michelangelo con le ali da diavolo. Ecco cos'è Ryan. Un perfetto viso da angelo che fa da apice a un fisico mozzafiato regalato a un'anima dannata.

La mascella contratta definisce un volto concentrato, con lo sguardo rivolto verso la
polvere che con movimenti piccoli e decisi soffia via verso la paletta. Eppure, capisco che seppur fisicamente si trovi qua con me, mentalmente è altrove, in uno dei suoi tanti mondi sigillati da un lucchetto senza chiave. Com'è possibile che l'essere che più detesto sia, allo stesso tempo, colui che più mi assomiglia?

«Ryan» lo richiamo e, nonostante non sollevi lo sguardo verso di me, capisco da come ha mosso gli occhi di aver attirato la sua attenzione. «Grazie per oggi» pronuncio con sincerità riferendomi all'attacco di panico. A una parte di me brucia il fatto di essere stata colta in fragrante, specialmente da qualcuno di fronte al quale mi sono sempre dimostrata forte e capace, ma devo ammettere che, probabilmente, senza il suo aiuto avrei trascorso molto più tempo con il respiro bloccato nell'esofago.

«L'ho fatto così adesso siamo pari. Nessuno dei due è più in debito con l'altro.» Sollevo un sopracciglio, smettendo di pulire. «Di che parli?»

Lui fa lo stesso e mi guarda. «Questa notte tu hai aiutato me e io oggi ho aiutato te. Ho soltanto ricambiato il favore.»

Non so che risposta mi aspettassi, ma dalla punta di delusione che inizio ad avvertire intuisco che fatico a mandare giù questa versione. Ho davvero creduto che Ryan avesse un cuore che tiene soltanto nascosto dalla cattiveria del mondo? Ma cosa mi è passato per la testa? Lui non è come te Kaylee, sei tu quella strana.

«Oh, ma certo» farfuglio riprendendo a spazzare pur di interrompere il contatto visivo, quando dei rumori confusi giungono alle orecchie.

«Cos'è stato?» domando, notando che anche Ryan, con l'udito teso, deve essersi accorto della stessa cosa. Il suono si fa man mano più nitido fino a sfumarsi in... voci? Ne distinguo una maschile e una femminile.

D'un tratto, lo sguardo di Ryan si illumina di una consapevolezza che lo scompiglia. Si avvicina a me, stringe la mano libera dalla presa della scopa - che cade a terra rumorosa - e mi trascina dentro l'armadietto che conteneva fino a poco fa degli utensili.

«Ma che diamine stiamo facendo?» farfuglio mentre Ryan osserva l'aula dalle piccole forature orizzontali dalle quali filtrano deboli raggi di luce. Lo spazio è ristretto, il mio corpo è completamente schiacciato contro il suo suo nonostante cerchi di porre centimetri di distanza tra noi.

«Stai zitta» ordina senza guardarmi. Cerco di liberare un braccio che trovo incastrato contro la parete di metallo dell'armadietto.

«Mi vuoi spiegare perché siamo rinchiusi in un cavolo di armadietto?!» Ma, di tutta risposta, lui mi tappa la bocca con un palmo che procedo a schiaffeggiare. «E devi smetterla di toccarmi.»

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