5 - Tra tombini e forchette.

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«Siete arrivate a destinazione.» Dice la voce metallica del navigatore di Leyla. Me lo auguro con tutto il cuore, dato che l'ultima volta che ci ha detto una cosa del genere siamo finite in un sexy shop. Dovevamo comprare un paio di scarpe entrambe, non un i frustini. Comunque, non possiamo che dargli fiducia. Pensate, riusciamo anche a trovare posto davanti all'enorme cancello della villa. Bella fortuna, penso, chissà in che guaio andremo a cacciarci tra qualche ora. Perché di consueto accade questo: per una botta di fortuna che ti coglie, ci sono altre quattrocento mila botte di sfiga pronte a braccarti dietro l'angolo. Quindi se tali sono i presupposti, visto che qui è pieno di auto parcheggiate, non immagino come andrà a concludersi la serata!

Scendiamo dall'auto lentamente, ispezionando la zona come se fossimo esperte. In realtà non è usuale che capitiamo qui, di conseguenza non sapremmo muoverci nel caso dovessimo farlo da sole. Ma siamo temerarie, a noi non interessa perderci in un posto che non abbiamo mai visto e va da sé che c'incamminiamo verso l'unico cancello presente in questa strada fine sé stessa. È chiaro che abiti qui, non vi sono altre forme di vita intorno.

«Vado a citofonare, tu stai attenta a non inciampare sullo strascico! Gli stai dando il tormento.» Borbotta Leya, incamminandosi spedita verso quello che sembra essere un citofono.

Facile per lei parlare, indossa un tubino azzurro - rubato dal mio armadio, tra l'altro - che non è abbastanza lungo da coprirle le ginocchia. Per me un po' meno, visto che il mio abito è lungo ed ha uno strascico antipatico che finisce sempre sotto le mie scarpe. Non so se arriverò sana alla fine di questa serata, figuriamoci salva! Si prospettano maledizioni a gogò. «Se non ti viene una cagarella a fischietto, stasera te la faccio venire io a forza di sleppe sulla nuca... cretina!»

Questo posto è così silenzioso che nonostante non siamo vicine, mi sente ugualmente. Si volta, si mette a ridere e poi citofona. Oh, ecco, siamo capitate al posto giusto senza perderci. Allora i navigatori degli iPhone sono stati migliorati! Mi chiedo dove sia l'inghippo. Strascico a parte.

«Salve, con chi parlo?» ... siamo al telefono con qualcuno e non me ne sono accorta?

«Salve, siamo Leyla Aydın e Elin Atasoy, lavoriamo per la signora Aslan.» Spiega a qualcuno.

«Sì, la signora Aslan vi aspetta. Prego, entrate pure. Sarò lì in un battibaleno.»

Non per giungere a conclusioni affrettate, ma credo che lui sia uno dei domestici di Sevim.

«Ci sta aprendo,» Leyla si gira a guardarmi e poi torna a fissare il cancello. Questo, lentamente, si apre proprio come ha detto, emettendo un rumore che non mi piace. «Servirebbe un po' di olio, non senti come si lamenta?»

«Vuoi che ce lo metta io? Non so, perché lo dici a me?» Le rispondo.

«Così, per dire!»

«Non dire, Leyla. Ti assicuro che stasera è la sera meno adatta per dire qualcosa!» Esclamo.

Lei, di tutto punto, trattiene una risata. Quel completo verde pisello sarebbe stato perfetto per i presupposti di una cena alquanto movimentata. Invece no, indossa il Valentino più complicato e scomodo che hai nell'armadio, Elin, coraggio! Lasciati trasportare dalle idee naif della tua amica, forza! Cosa potrebbe mai accadere, dopotutto? Che inciampi su uno dei gradini che vedi laggiù, ti spacchi la testa e muori? Ah, no, non accadrà se qualcuno dall'alto ti assiste, vedrai. Peccato che non abbia nessuno ad assistermi, ho perso anche la fede nel corso degli anni.

Arriva un omino alto tanto quanto la pianta grassa che abbiamo in ufficio, vestito di bianco, che si precipita verso di noi. È alto un metro e trenta circa, praticamente la versione tascabile di una persona. «Buonasera!» Esclama, sorridendo felice. Chissà com'è il mondo da lì giù. Non proprio bello, mi sa. Il rischio di sbattere con la fronte ai tavolini, deve rendergli tragica l'esistenza.

Per il resto tutto beneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora