35 - «Elin, stai dando spettacolo.»

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Come da copione, la sveglia suona in perfetto orario e io, come da copione le tiro un pugno affinché la smetta d'infastidirmi. Vorrei tanto che chi l'ha inventata fosse vivo, per potergli dire in faccia che, comunque, non è stata una grandissima scoperta... anzi. Non vorrei dover alzarmi dal letto, ma sono costretta a farlo: tra un'ora Leyla passerà a prendermi e devo muovermi. Così, nonostante il letto mi supplichi di non abbandonarlo almeno oggi, io risulto essere mentalmente più forte di lui: mi tolgo il lenzuolo di dosso scendo.

La prima cosa che faccio prima di ogni altra, è prendere un ginseng caldo per svegliarmi. Capire chi sono, da dove vengo, come mi chiamo, cosa sono venuta a fare al mondo solitamente è difficile, ma in questo periodo della mia vita lo è ancor di più. Mi è ignoto il senso della mia presenza sulla Terra a dire il vero: prima, credevo fosse creare abiti ed avere successo come stilista, lavorare per marchi di tutto punto e trovarmi ad avere ottant'anni con una florida carriera alle spalle; ora non lo so più. I miei unici punti di riferimento sono: il mio nome, il mio cognome e la mia città di nascita.

Comunque, bevo il mio ginseng dolce e zuccherato come piace a me senza dover subire i commenti fuori luogo di Emre. Dopodiché mi trasferisco in bagno con il mio intimo e il completo che indosserò oggi e, dopo aver sistemato tutto sul lavabo, mi lancio letteralmente sotto la doccia. L'acqua tiepida scorre lungo tutto il mio corpo, così socchiudo gli occhi ed alzo il viso verso il soffione. Penso a Can, a ciò che è successo ieri sera e penso a ciò che ne sarà di noi in futuro; penso che non avrei voluto, mai nella vita, arrivare a discutere con lui in un misero bagno di un locale; penso che Polen non può aver mentito riguardo la sua gravidanza, perché la pancia crescerà inevitabilmente e cosa inventerà se davvero non è incinta? E, infine, penso anche che dovrei sbrigarmi anziché pensare inutilmente. I tempi stringono molto più di quel che sembri perciò m'insapono alla velocità della luce e allo stesso modo mi risciacquo, avvolgendomi subito dopo nel mio accappatoio.

Mi specchio e non so esattamente chi sia la ragazza riflessa dentro questo coso quadrato di vetro. I miei geni non mi hanno mai consentito di essere una ragazza sorridente e straripante d'energia, ma neanche il cadavere che mi si presenta davanti oggi. Stanotte ho dormito solo un paio d'ore e ormai le occhiaie hanno preso possesso del mio viso: se continuo a non dormire, arriveranno a sfiorarmi il mento. Sospiro stanca, mi passo una mano tra i capelli; stringo la presa e poi li lascio. Mi giro verso i panni che campeggiano sul lavabo e inizio ad infilarmi l'intimo con riluttanza. Rimarrei a casa oggi, a guardare serie tv horror, a strafogarmi di gelato al pistacchio, a compiangermi. Invece devo uscire di casa per andare a lavorare, sopportare tantissime teste di... fango e pregare che non mi arrestino per omicidio. Perché, almeno in questo preciso istante, sarei capace di uccidere se qualcuno non mi dicesse la cosa giusta.

Faccio per indossare il completo nero, ma il campanello che suona mi distrae dall'obbiettivo. È vero che aspettavo l'arrivo di Leyla... solo, non così presto. Se fosse lei, avrebbe scelto la giornata giusta per arrivare in anticipo; per la mia amica, essere in ritardo è una caratteristica particolare, capite? È impossibile che si sia già presentata a casa mia. Curiosa di sapere chi vi sia oltre la porta, cammino verso la stessa; nel frattempo, cerco di tirare fuori il colletto della giacca senza strapparmi i capelli.

«Chi è?» Convinta che chiunque abbia commesso il grave errore di venire a trovarmi possa sentirmi, comincio a gridare. Ma, una volta essermi avvicinata abbastanza, guardo attraverso lo spioncino. Ed ogni persona al mondo mi sarei aspettata di trovare lì fuori, tranne... «Leyla? Che ci fai qui? È presto ed io non sono ancora pronta per uscire!»

«Noto, hai la stessa faccia di un morto dopo la passata di spirito.» Mi guarda dalla testa ai piedi, poi s'infila dentro casa mia. Chiude la porta al posto mio, dopodiché appende la sua giacca e indossa le sue ciabatte, estraendole dalla scarpiera. «Ho chiesto a Sevim di concederci un giorno di riposo, per metterci in pari e tutto quanto il resto. Oggi usciremo, tesoro mio, ma per prendere un bel gelato ed andare ovunque tu voglia per stare bene, d'accordo? Sì. Perfetto. Ci raggiungerà anche Eda appena sarà libera di poterlo fare; sai, lei lavora. Dai, datti una bella truccata... e via.»

Per il resto tutto beneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora