4O - «Dimmi, che cosa vuoi sapere?»

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«La prossima volta che hai intenzione di arrivare in ritardo, comunicamelo per favore. Qui ho fatto le radici. Tra qualche giorno, nascerà un albero in mio nome.»

Abbraccio Samet per salutarlo, ma mi stacco velocemente. «Hai ragione, ti chiedo scusa. Purtroppo, ho avuto un contrattempo in azienda che ha rallentato la mia tabella di marcia.»

È vero, non trovavo l'agenda su cui appunto tutti i risultati dei miei lavori. Accanto ad ognuno di loro scrivo qualcosa, giusto per ricordare i miei pensieri a riguardo qualora Sevim mi facesse domande e volesse sapere com'è andata. Per me è essenziale imprimere su un foglio le mie idee durante un lavoro, non avendo una memoria attendibile. Difficile dimenticare se i lavori non vengono eseguiti come Sevim vuole, o se ci sono problemi di qualsiasi tipo. Ma, visto che sono una maniaca del controllo per eccellenza, preferisco segnare tutto.

Samet, divertito, inarca le sopracciglia. «Del tipo?»

«Il meno grave è che non trovavo la mia agenda personale, il più grave è l'uomo che vedi alle mie spalle adesso.» Mi volto, indicando a Samet di fare la stessa cosa con un cenno del capo.

Can avanza verso la nostra direzione, ovvero la parete centrale del palco. La utilizziamo per regolare giochi di luce, effetti sulla scenografia o sul palco stesso. E per correggere tutti i nostri modelli, nel caso trovassimo errori negli abiti o nel loro modo di sfilare. Da qua notiamo ogni dettaglio, anche se è difficile da credere. Alcuni pensano che si lavori lateralmente, ma io non sono dello stesso parere.

Ad ogni modo Can regge un piccolo vassoio con una mano, mentre con l'altra tiene un pezzo di pizza che addenta con ferocia. Cammina verso la nostra direzione ed un brivido serpeggia per intero sulla mia schiena: sembra che posi di continuo per un servizio fotografico e, nonostante non indossi niente di elegante, lui risulta esserlo. Una canotta lenta che mette in mostra il suo petto scolpito, un jeans cargo nero si adagia sui suoi fianchi ed un paio di dunk ai piedi dello stesso colore. Lo detesto con tutto il mio cuore, sul serio. Non so più dove finisca l'odio e dove cominci l'amore che provo per lui. Qualunque cosa faccia e ovunque sia, lui è perfetto. Anche mentre mangia la pizza è sexy. Poi la sua bocca si poggia sull'anello della bottiglia e sento le mie forze venir meno. Vorrei essere lui ora e ciò è inspiegabile, non ho mai assistito in vita mia ad un fenomeno simile.

«Buonasera,» gli rivolge uno sguardo duro, poco amichevole. «Sono Can Divit.»

Gli porge una mano e Samet stringe la presa... anche se Can la stringe un po' di più. Me ne accorgo quando Samet accenna ad un'espressione quasi dolorante, e quando sento scrocchiare le ossa delle sue dita. «Samet, piacere mio.»

«Puoi giurarci,» borbotta Can, mollando la mano ormai smorta del mio collega. Con aria indifferente, come fosse normale per lui stritolare le dita altrui, si volta verso il palcoscenico. «È stretto e lungo.»

Persa nei miei pensieri impuri, osservandolo, non colgo subito il collegamento col palco. «Va bene lo stesso, figurati.»

Notando la mia aria frastornata - sognante, pensando a lui in determinate situazioni ben diverse dal contesto che stiamo vivendo ora, in questo preciso istante - nelle mie parole, si gira a guardarmi. E un meraviglioso sorriso divertito dipinge le sue labbra. «Mi riferivo al palco, Elin.»

Avevo completamente frainteso il discorso, reduce da... va beh, ho sbagliato. «Ma sì, certo. Anche io mi riferivo al palco, ovviamente.» Annuisco, tornando ad assumere la mia solita aria professionale impettita.

Lui ridacchia un po', avendo capito la mia mente perversa. Si china su me e lascia un bacio, caldo e lento, sul mio collo scoperto. «Peccato che tu non sappia mentire,» sussurra al mio orecchio sfiorandone il lobo con le labbra. «La bugia poteva essere valida, con un po' più di convinzione.»

Per il resto tutto beneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora