42 - «M'insaponi la schiena?»

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«Sei morto?»

Poggiato di schiena al muro del mio terrazzo si tasta braccia, gambe e petto; muove un piede e poi muove anche l'altro; prova a guardarsi la schiena, osserva ogni centimetro del suo corpo e respira profondamente come se stesse dal medico. «No, non ancora.»

«Allora so cucinare!» Esclamo, sedendomi sul pouf a mo' d'indiano.

Can trattiene una risata; prima di rispondere, si passa una mano sul viso. «Beh, non direi! Però, era commestibile. Questo te lo concedo.»

«Ma... come? Non hai detto di esserti innamorato della mia cucina?» Inarco le sopracciglia; l'ha detto eccome, poco fa. E l'ha ripetuto anche mentre impilavamo i piatti nella lavastoviglie.

«Ti ho detto di essermi innamorato della tua cucina, non del modo in cui cucini. La tua cucina è comoda, spaziosa e mi piacciono i colori che hai utilizzato per la tua casa. Beige, bianco sporco e qualche dettaglio arancione. Sono colori autunnali che amo.» Tira dal suo sigaro e io faccio la stessa cosa con la mia sigaretta. Poi, entrambi espiriamo fumo che si propaga per tutto il cielo, sopra di noi, assumendo forme strane e disperdendosi dell'aria.

Lo fisso con un occhio semi chiuso e l'altro aperto. Come Jeffrey Dahmer faceva con gli uomini che voleva uccidere, scopare e poi mangiare... praticamente. Ci sono rimasta malissimo. Ride e si piega in due, mentre io penso a come nascondere il suo cadavere - essendo lui un po' troppo alto - e, soprattutto, a come ucciderlo. «Sei un disgraziato.»

«Okay, okay, amo la tua cucina letteralmente.» Si asciuga le lacrime, ricomponendosi. «Ma amo anche come cucini. Anche se è commestibile, ma non degna di nota Elin.»

Si piega verso me e afferra le mie guance con una mano, baciandomi le labbra. «Pensi, forse, di cavartela solo con un bacio? Ci vuole molto di più per recuperare questo scivolone, Can Divit.»

«So come farmi perdonare,» solleva e abbassa velocemente le sopracciglia, facendomi ridere.

«Come?» Gli indico di parlare, curiosa di sapere cos'ha in mente. Non sono preoccupata, le sue idee - sebbene mi doglia ammetterlo - sono sempre pazzesche. Solo che non mi viene in mente niente, non so che cosa potrebbe propormi. Alla fine di tutto però, qualsiasi cosa sia per me va bene se la facciamo insieme.

Il tempo mi ha insegnato che in compagnia delle persone giuste, anche stare seduti su un muretto e ridere e scherzare insieme può essere divertente. Nella mia vita ho viaggiato tantissimo, con i miei amici e Eda ho avuto la fortuna di poter vistare gran parte del mondo. Ma purtroppo, non è sempre stata giusta la compagnia... a parte Eda. Qualche anno fa, sono giunta alla conclusione che alcune città del mondo non mi sono piaciute a causa delle persone che avevo accanto. Non erano "spente", "insignificanti" come credevo; me le sarei godute di più, se le avessi viste solo con Eda o con altre persone che non erano presenti purtroppo. Se viaggiare è bello e importante culturalmente parlando, lo è ancor più viaggiare con la giusta compagnia.

Can si gratta la barba con la mano libera, mentre con l'altra tiene il sigaro; gli dà una boccata e dopo aver lanciato un'occhiata alle stelle che illuminano il cielo stanotte, porta lo sguardo su di me. «Sai che ci tengo a te, vero? Te l'ho già detto?»

Annuisco con aria circospetta. «Sì, Can, me lo hai già detto.»

«Ecco, fattelo bastare perché non ti dirò altro. Andremo domani stesso a scegliere la sorpresa.» Fa spallucce, accavallando una gamba.

Rimango interdetta ad osservarlo, come una ben emerita deficiente. Ho la bocca socchiusa ed i miei occhi minacciano di uscire fuori dalle orbite. Detesto chi lancia il sasso e ritira la man e se lo fa Can, se possibile, m'irrita ancora di più. «No, tu adesso mi dici che cos'hai in mente di fare. Perché non ce la farò mai ad aspettare fino a domani, lo capisci? Mi farai venire una crisi nervosa.»

Per il resto tutto beneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora