the first truth 25.3

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Una fitta alla verità

"Lui è ancora vivo," sussurra Joshua, così piano che prego di aver capito male.

"C-cosa?" balbetto, sconvolta, mentre i miei occhi si spalancano e sento il respiro mozzarsi. Istintivamente, cerco lo sguardo di Jace, aspettandomi che smentisca tutto, ma lui abbassa la testa, come se portasse il peso di una colpa troppo grande per essere ignorata.

Colpevole.
Colpevole di avermi nascosto la verità.
Colpevole di avermi privata della possibilità di essere felice.

Le mie gambe tremano, il mondo intorno a me si fa sfocato. Inizio a respirare affannosamente, la mente annebbiata, incapace di mettere in ordine i pensieri. Mi accascio a terra, gli occhi spalancati, una mano premuta sul cuore nel tentativo disperato di calmare il suo battito impazzito. Ma è inutile. Mi gira la testa, la vista si offusca, e un suono assordante, come un fischio continuo, invade le mie orecchie.

"I-io... n-no-n res-pi-ro-o," balbetto a fatica, cercando invano di riprendere fiato.

"Sta avendo un attacco di panico!" esclama Joshua, allarmato, inginocchiandosi accanto a me. Mi afferra la mano con forza, cercando di trasmettermi un po' di calma.

"Gigi, guardami!" mi dice, prendendomi il viso tra le mani. "Calmati, respira piano."

Le sue parole, il suo tocco, fanno solo peggiorare la situazione. Mi scanso bruscamente, come se il solo contatto mi bruciasse. Il dolore alla testa aumenta, il fischio diventa insopportabile, e le sue parole si confondono con il caos nella mia mente.

"Gigi, lo so che sei arrabbiata con me, ma se non ti calmi ti verrà un infarto!" prova Jace, la voce spezzata dall'ansia.

Non riesco più a distinguere le sue parole. Una fitta al petto mi fa contorcere, e un gemito soffocato mi sfugge dalle labbra. Poi, il nulla. Un silenzio buio mi avvolge, portandomi via.

____

Una fitta alla testa mi riporta lentamente alla realtà. Mormoro parole incomprensibili, gli occhi stretti per il dolore, cercando di aprirli. Una luce troppo forte mi costringe a richiuderli. L'unico suono che sento è il bip ritmico di una macchina, un suono che mi infastidisce e mi disorienta.

Faccio un altro sforzo e finalmente riesco ad aprire gli occhi. La stanza che mi circonda non è la mia cameretta, bensì un ambiente bianco e asettico, impregnato di un leggero odore di ammoniaca. Accanto al mio letto, mio padre è seduto su una sedia. Ha gli occhi chiusi, il viso segnato dalla stanchezza.

I raggi del sole filtrano attraverso la finestra, annunciando l'inizio di un nuovo giorno. Mi rendo conto di essere in ospedale. E lentamente, i ricordi riaffiorano.

Asher. Jace. Joshua. Le loro parole, le loro colpe. Tutto ciò che è successo.

Il cuore inizia a battermi più forte, troppo forte. I bip della macchina accelerano insieme al mio respiro. Mi manca l'aria, e un dolore lancinante alla testa mi paralizza. Mio padre si alza di scatto, mi afferra la mano e urla aiuto. I medici arrivano in pochi secondi, mettono una maschera per l'ossigeno sul mio volto.

A poco a poco, il mio corpo si calma. Mio padre tira un sospiro di sollievo, si avvicina e mi bacia la fronte.

"Gigi," corregge subito il medico quando lo sente chiamarmi con il mio vero nome. "Chiamatela Gigi."

"Gigi," inizia il medico con un tono calmo, "questo è un monitor multiparametrico. Ci aiuta a controllare i tuoi parametri vitali. Hai subito un grave shock, e i tuoi sintomi – aumento della frequenza cardiaca, difficoltà respiratorie, nausea, pallore – sono tutti segnali della tensione accumulata. Ti consiglio di pensare solo a rimetterti, sia fisicamente che mentalmente. Se necessario, considera il supporto di uno psicologo."

Mi sorride, tentando di rassicurarmi, poi si allontana, lasciandomi sola con mio padre.

Provo a spostarmi per mettermi più comoda, ma il dolore alla testa mi blocca.

"Jelena, piano... fatti aiutare," dice mio padre, sostenendomi con delicatezza.

Si siede nuovamente accanto a me, il viso pieno di preoccupazione. "Tuo fratello vorrebbe entrare..."

"No," rispondo immediatamente, scuotendo la testa. "Assolutamente no."

Lui annuisce, rispettando la mia volontà. "Va bene. Tu riposati, sei ancora troppo debole. Domani ti porto a casa."

Prima di allontanarsi, afferro la sua mano e la stringo con dolcezza. Nei suoi occhi stanchi vedo una lucentezza che non gli avevo mai visto prima.

"Papà..." sussurro.

"Jelena..." inizia, ma non riesce a continuare. Una lacrima scivola sul suo volto, segnato da notti insonni e preoccupazioni mai espresse.

"Mi hai fatto preoccupare. Quando sono uscito e ti ho vista priva di sensi..." La sua voce si spezza. "Il mondo mi è caduto addosso. Tu e Jace siete tutto ciò che ho. Non ve lo dico mai, ma vi amo più di ogni altra cosa. Per voi darei la mia vita."

Le sue parole mi trafiggono il cuore. Nonostante tutto il dolore, sento una calda scintilla di conforto nel sapere che, anche nei momenti più bui, non sono sola.

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