6. DENTRO L'INCUBO

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❦ 𝓡𝓮𝓰𝓪𝓵𝓮𝓼 ❦

❦ 𝓡𝓮𝓰𝓪𝓵𝓮𝓼 ❦

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Quarto capitolo

DENTRO L'INCUBO

"Il giorno in cui conobbi la paura fu devastante.
Mi divorò dal dentro e mi pugnalò alle spalle
facendomi dimenticare di esistere."

Tre giorni...

«Ti conviene rigare dritto d'ora in avanti ragazza. Non vorrei proprio ritrovarmi nei tuoi panni in questo momento, ma anche se così fosse non vi è alcun dubbio che non avrei mai osato fare ciò che hai fatto tu» l'agente Storpinsky stava parlando da più di tre quarti d'ora, Berenice però non stava ascoltando «Mai e poi mai, neppure nel fiore dei miei anni, mi sarei mai permesso di infrangere la legge, ma la cosa ben peggiore di tutte è che tu non hai solo infranto la legge, ma bensì la stessa volontà divina, scappando dal convento come una ladra... sai, non è vero, che le suore sono a stretto contatto con il cielo? Lo sai, o non lo sai?» l'agente fece una pausa allungando un braccio sul sedile affianco e afferrando con voracità un panino da una busta in plastica. «Quelle povere suore, ti hanno sfamata, ti hanno dato una casa, la possibilità di studiare... e tu le ripaghi così?» Un altro morso al panino. Del prosciutto gli cadde sui pantaloni della divisa. «Quando il giudice lo verrà a sapere, ti spedirà al riformatorio e farebbe proprio bene! I teppisti della tua età devono imparare cosa significa prendersi le proprie responsabilità!»

Stavano viaggiando da tre giorni. Ed era da tre giorni che l'agente Storpinsky la tormentava con quel discorso. Per Berenice però quelle parole, che non erano altro che minacce velate, non valevano nulla a confronto dei pensieri che le appesantivano la testa in quel momento.

Tre giorni. 

In tutto quel tempo Berenice era riuscita a dormire solo un paio d'ore. Ogni volta che chiudeva gli occhi, cercando invano di prendere sonno, era sopraffatta dagli incubi. La mente e i ricordi non le davano tregua.

Settantadue ore.

«Il problema dei ragazzi come te?» sputò di nuovo l'agente «Hanno troppo, siete solo dei viziati...»

Berenice appoggiò la testa contro il finestrino mentre la mente le schiaffeggiava davanti agli occhi l'ennesima immagine. Gaston. Provò una fitta al petto lancinante. Fu costretta a piantarsi le unghie nelle braccia per imporsi di non urlare.

Più il tempo passava e più ne sentiva la mancanza, come se l'ossigeno si stesse prosciugando a poco a poco dalla Terra. Era un dolore fisico che non aveva mai provato in tutta la sua vita e il fatto di non poter far nulla per porvi rimedio, la faceva sprofondare in un abisso di inquietudine e sconsolazione. Gaston era scomparso. Ma lei era certa che in quella casa ci fosse stato, lo aveva visto con i suoi stessi occhi. Aveva visto la vecchia correre con lui tra le grinfie e entrare dentro la casa ridendo. C'erano decine e decine di altre stanze. Gaston doveva per forza trovarsi in una di quelle.

La sguatteraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora