23. CURE NON GRADITE

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Al calar del sole, il collegio assumeva un aspetto completamente diverso rispetto al giorno. Non c'era anima viva in giro e i corridoi sembravano tutti uguali. Berenice non ricordava dove fosse la sua stanza, ne ricordava da dove fosse venuta... con tutta probabilità stava semplicemente ripercorrendo i medesimi corridoi da tutta sera.

Un orologio a pendolo lì al suo fianco segnava le dieci di sera passate. Un brivido di inquietudine le percorse la schiena mentre la luce fioca dei candelabri, danzando sulle pareti, proiettava la sua ombra allungata come uno spettro. Non si sentiva il benché minimo rumore all'infuori del suo respiro.

Imboccando un angolo, Berenice intravide finalmente una flebile luce proveniente delle scale. Non era l'imponente scalinata principale, ma almeno si rincuorò nel non dover ancora vagare per quel piano. Quando arrivò alla fine delle scale, si ritrovò nell'ennesimo corridoio dominato da toni bordeaux, con i tappeti persiani sui pavimenti e i mobili in legno.

Un sospiro di rassegnazione le sfuggì dalle labbra. Non sapeva nemmeno in che ala del collegio si trovasse. Aveva percorso almeno un centinaio di scalini, forse si trovava al primo piano? Non ne era sicura. Su una cosa però era certa: se la sorvegliante l'avesse trovata a vagare per i corridoi a quell'ora, sarebbe stata la sua fine. Tutt'al più non avrebbe impiegato poi molto a capire che qualcosa non andava, da abile segugio qual era. Berenice sentiva ancora quell'odore nauseante nel naso e i capelli luridi e fangosi.

Un brivido le percorse la schiena al ricordo di quanto accaduto solo un paio d'ore prima. Si chiese per quanto tempo quelle immagini l'avrebbero perseguitata: lei soffocata dal fango, che annaspava alla ricerca d'aria... al solo pensiero sentì la gola stringersi in una morsa dolorosa e il cuore batterle furiosamente nel petto. L'aveva scampata per un pelo. Cercò di calpestare con tutto il suo buon senso quei pensieri e li richiuse in una scatola nel retrobottega del suo cervello, esattamente come aveva imparato a fare in quelle ultime settimane. Se non fosse riuscita a farlo, era sicura che il terrore avrebbe preso il sopravvento prima o poi.

D'un tratto, la sua attenzione fu catturata da una lunga spada affilata appesa al muro. Nonostante cercasse di ignorarla (era soltanto una spada e certamente in quel momento aveva problemi ben più grandi a cui pensare), c'era qualcosa in quell'arma che sembrava riaccendere ogni più piccola particella del suo corpo.

Era sottile, notò Berenice, talmente sottile da sembrare un foglio di carta. Non sapeva perché fosse così tentata da quell'arma, ma non poté resistere all'impulso di immaginarsi con quella spada in mano. Sentì come un peso immaginario sulla pelle e il polso vacillò. Riuscì a percepire il caldo pungente dell'impugnatura, il dolore nei muscoli per sorreggerne il peso, l'odore del cuoio foderato e del metallo fresco.

Sentì il braccio tremare. Aprì gli occhi all'improvviso e vide la sua mano che si allungava e afferrava l'impugnatura della spada. Una scarica elettrica la percorse, dalla punta delle dita fino alla spalla, una sensazione più intensa di quella immaginata poco prima. Se solo fosse stata in grado di usarla... Berenice era certa che, con quella spada, non avrebbe più avuto paura di nulla. Era la prima volta che impugnava un'arma del genere, (a meno che non si volessero considerare armi i coltelli russi nella cucina della suora Madre) e la sensazione, con sua grande sorpresa, fu elettrizzante. Ogni singola cellula del suo corpo vibrava a contatto con l'impugnatura surriscaldata. Sembrava un prolungamento perfetto del suo arto.

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