Quando quel pomeriggio raggiunse lo studio dove era stata curata dopo l'anfiteatro, Tiresio le sorrise dalla scrivania in mogano dall'altra parte della stanza. Berenice non poté fare a meno di chiedersi come facesse a sapere che fosse lei, dato che era cieco. Ma forse il fatto che si fossero dati appuntamento per quel pomeriggio a quell'ora era già una buona giustificazione al suo saluto caloroso, o forse semplicemente il vecchio salutava tutti così. Anche se Berenice ne dubitava fortemente, visto quanto era stato scorbutico con la sorvegliante l'ultima volta.
«Devo finire di fare una cosa, inizia pure a darti un'occhiata in giro, ma mi raccomando, non toccare niente!»
Berenice fece una smorfia, cercando di nascondere il suo disappunto. Non aveva nemmeno capito cosa ci facesse lì e l'idea di passare il pomeriggio con un vecchio non la entusiasmava affatto. Il lato positivo era che almeno avrebbe potuto concedersi un po' di riposo.
Si guardò di nuovo intorno più attentamente rispetto all'ultima volta in cui era stata lì. Oltre ai mobili e agli oggetti capaci di muoversi da soli, la sua attenzione fu catturata soprattutto dalla moltitudine di libri, la maggior parte dei quali le era completamente sconosciuta.
Per quanto avesse sempre amato leggere, ultimamente non ne aveva più voglia. Non che avesse tempo da dedicare ai suoi svaghi ovviamente... ma se mai lo avesse avuto, non lo avrebbe fatto. Così come non avrebbe dipinto. Probabilmente, avrebbero preso forma sulla tela i suoi ricordi più cupi delle ultime settimane, e Berenice non aveva alcuna intenzione di riviverli e imprimerli per sempre da qualche parte.
Si sbarazzò all'istante di quei pensieri con una scrollata di spalle e continuò a girovagare annoiata per la stanza. Oltre i letti bianchi allineati uno accanto all'altro sul ripiano inferiore della stanza, c'erano svariate scrivanie sul ripiano superiore, cariche di ogni genere di oggetto. Evitò di avvicinarsi ai flaconi fumanti sul ripiano inferiore e agli artefatti sparsi qua e là sui tavoli. Non riusciva proprio a credere che tutto ciò fosse reale: tutti quegli oggetti erano vivi, esattamente come poteva essere vivo un animale o una persona. Ondeggiavano da una parte all'altra e sembravano persino avere delle emozioni. Alcuni sembravano irritati quando Berenice, per sbaglio, urtava un mobile o un mappamondo, mentre altri si ritraevano con timidezza, quasi fossero diffidenti verso gli estranei. La prima volta che era stata in quella stanza, non si era accorta di nulla di strano, ma al mattino, quando si era svegliata, aveva notato che i mobili sembravano disposti diversamente rispetto alla sera precedente.
Cercò di superare una poltrona scorbutica e si avviò verso una cartina dispiegata su un enorme tavolo rosicchiato agli angoli, circondata tutto intorno da candele, calamai e altre reliquie arcane. Pur non riconoscendo lo spiazzo di terra che aveva davanti, disegnato sulla cartina gialla a mani nude, qualcosa le disse che doveva trattarsi di Ginerva, la terra nativa dei Regales. Ne seguì i contorni frastagliati, le montagne elevate, gli isolotti immersi nell'acqua e le poche raffigurazioni presenti. Non c'erano indicazioni che identificassero i luoghi, e sebbene non fosse un'esperta, non poté fare a meno di chiedersi come mai, con un territorio così vasto a disposizione, ci fosse un'isola sulla Terra che ospitava due collegi di due popoli provenienti da quel mondo.
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La sguattera
Fantasy1º libro della saga dei Regales La sedicenne Berenice è sempre stata una ragazza normale, con una vita monotona e terribilmente noiosa. O almeno se così si può definire essere orfana, vivere in un convento di suore, con un gatto parlante come unico...