17. IL PRINCIPE

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Ectore e Aristide entrarono nella stanza ridendo. Paride, che aveva appena finito di farsi la doccia, uscì dalla porta del bagno circondato da una nuvola di vapore. Notò i due ancora con indosso le divise putride per la prova della notte precedente e non poté fare a meno di fissarli stizzito. Si chiese come avesse potuto accettare di condividere la stanza con loro per l'intero semestre, considerando quanto poco badassero all'igiene. Qualche settimana prima gli era sembrata una buona idea a dir la verità, dato che sarebbe stato il loro ultimo anno a Chentburry. Ma vederli ora nella sua stanza, a imbrattare di fango in ogni dove, lo fece pentire amaramente della sua decisione. Probabilmente era stata la sera in cui aveva alzato di gomito, perché altrimenti non riusciva a spiegarsi cosa gli fosse passato per la testa.

«Ciao Paride» cantilenò Ectore sedendosi sul suo letto con la divisa ancora addosso, riducendo le lenzuola ad un ammasso di fango e terriccio. «Non ci chiedi perché stiamo ridendo tanto?»

Paride lasciò cadere per terra l'asciugamano, rimanendo completamente nudo. Avrebbe potuto esserci chiunque in quel momento nella stanza che poco gli sarebbe importato. Era privo di quel senso pudico che invece contraddistingueva tanto il cugino. «Voi ridete sempre per un mucchio di sciocchezze» diede un rapido sguardo nel suo armadio. Aveva quasi finito tutte le sue camicie di lino preferite.

«Dai cugino» lo persuase Aristide «Sono sicuro che questa notizia ti piacerà.»

«Indovina chi s'è innamorato» lo esortò Ectore con un tono tendente allo sdolcinato.

Paride si infilò un paio di calzoni della divisa. «Tu immagino, per la milionesima volta.»

Quel pomeriggio, a differenza della notte scorsa che avevano avuto la prova di volo, lo attendeva una noiosa lezione di etichetta e di certo non moriva dalla voglia di frequentarla. Ma per la sua annata era un corso obbligatorio e neppure il suo status di principe gli aveva mai permesso di saltare le lezioni più futili.

«Il tuo servo, l'affascinante Otis» bofonchiò Aristide. Gli diede una pacca sulla spalla, lasciandogli del terriccio sulla camicia che Paride si affrettò prontamente a rimuovere inorridito. «Non sei contento? Chissà ora come ci pulirà le divise, non si limiterà solo a farci dei buchi... ce le brucerà direttamente.»

«Se mi stringe ancora una volta le tuniche, giuro che lo rispedisco direttamente a Regalia a calci» Paride contò nella mente quante tuniche gli fossero rimaste. Le divise di allenamento erano sacre per lui, ma, a causa dell'incompetenza del suo servo, Paride era costretto a richiederne di nuove almeno una dozzina di volte a semestre. «Ma tanto, perché dovrei preoccuparmi? Otis non sa neanche come sono fatte le ragazze.»

«È qui che ti sbagli, amico mio» rincarò Ectore, quasi godendoci, incrociando le caviglie fuori dal letto. «Hai presente la servetta dell'altro giorno? Quella che ha sporcato il vestito a Venere per intenderci.»

Paride si fermò, la camicia infilata a metà. Aveva capito fin troppo bene di chi stesse parlando ma fingere di non ricordarsi gli sembrò più facile.

La sguatteraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora