16. MALELINGUE

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Non appena entrò nelle cucine il giorno seguente, venne sommersa da un profumo simile a quello di una torta di mele, ma molto più speziato, che fece fare una giravolta al suo stomaco. La nausea era così intensa delle volte da impedirle di avvicinarsi alla maggior parte dei cibi. Soltanto con un enorme sforzo, Berenice riusciva a mangiare il minimo indispensabile, appena sufficiente per evitarle di perdere del tutto le forze.

Per quanto detestasse stare nelle cucine, con tutti quegli odori sempre sotto il naso, la sorvegliante era stata piuttosto chiara con lei quella mattina: non erano ammesse sguattere goffe e maldestre nel suo collegio. L'avrebbe "raddrizzata", le aveva detto, perché lì si ambiva soltanto alla perfezione. Al ché Berenice non era riuscita a non rabbrividire, soprattutto quando le aveva elencato tutte le faccende che avrebbe dovuto svolgere quel giorno.

Delle urla furiose la riportarono bruscamente con i piedi per terra; la sua mente smise di vagare nel nulla, sgombrandosi da tutti i pensieri superflui.

«Sciocco di un servo!»

Berenice indietreggiò di colpo, urtando contro un'altra serva che si precipitava in tutta fretta il più lontano possibile da quelle urla. Guardandola rifugiarsi accanto a una credenza, non poté di certo biasimarla. Berenice avrebbe fatto lo stesso se non si fosse ritrovata alle spalle la parete.

«Hai fatto cadere tutti i miei pasticcini!»

La cuoca, che nell'aspetto ricordava terribilmente le raffigurazioni dei vichinghi, si trovava al centro della cucina con le mani possenti appoggiate sui fianchi e un cappello rettangolare sulla testa. Con un'espressione a dir poco furiosa, fissava un servo raggomitolato a terra che, con la fronte imperlata di sudore, raccoglieva in tutta fretta quel che rimaneva di alcuni dolciumi.

Berenice si sentì in qualche modo sollevata nel rendersi conto che non fossero rivolte a lei tutte quelle urla e quelle padelle che sbattevano di qua e di là.

«Vedi di mettere tutto in ordine prima del mio arrivo che ho un pranzo da preparare!»

La cuoca uscì di gran carriera dalla cucina con il rossore sulle guance così luccicante e focoso da far sembrare il suo volto un semaforo. Due trecce biondicce le spuntavano dal cappello e sobbalzavano ad ogni passo come delle redini di un cavallo al trotto.

Quando la cuoca sbatté la porta alle loro spalle, nella cucina rimasero soltanto i tre servi. Berenice dirottò immediatamente lo sguardo sul ragazzo inginocchiato a terra e per un momento le parve di rivedere sé stessa, nella stessa posizione la sera del ballo, mentre raccoglieva quelle maledette verdure fumanti. Ma la differenza era piuttosto evidente: mentre lei a stenti era riuscita a trattenere la rabbia, il servo in quel momento le sembrò così imbarazzato e spaventato da esserglisi arrossate pure le orecchie. A tratti, faticava persino a trattenere i tremori.

Pur sapendo che sarebbe stato meglio farsi gli affari suoi, Berenice si avvicinò lo stesso al ragazzo per aiutarlo. Si accovacciò per terra e affondò le mani in quell'ammasso indistinto di panna e gocce di cioccolato. Quanto avrebbe voluto che Gaston fosse lì per vederla in quel momento! Sicuramente gli avrebbe fatto rimangiare quello che le aveva detto il mese scorso, sul fatto che fosse maleducata ed egoista, e solo perché non l'aveva aiutato a spazzolarsi il suo manto! Pensare che fosse passato così poco a quella che era la normalità della sua vita, le provocò un vuoto allo stomaco non indifferente. Ma il servo accanto a lei attirò la sua attenzione, riportandola alla realtà. Si era immobilizzato come un coniglio accecato dai fari di un'auto. Probabilmente non era abituato a riceve aiuto, a giudicare dalla sua reazione e del rossore che gli colorò improvvisamente le guance.

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