30. SOLA PIÙ CHE MAI

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Continuo quindicesimo capitolo

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Continuo quindicesimo capitolo

Era da giorni che non dormiva così pacificamente. Qualsiasi intruglio le avessero dato per alleviare il dolore, stava facendo il suo dovere. Berenice aveva semplicemente smesso di fare domande al veggente. Inghiottiva tutto, immergendosi in quei sapori così deliziosi che si ritrovò ad apprezzare qualcosa per la prima volta da molto tempo. Il suo sonno però venne interrotto all'improvviso nel cuore di quella stessa notte e nemmeno tutte le pozioni del mondo avrebbero potuta tenerla lontana dalla realtà.

Pssss

Pssss

Berenice si rigirò nel letto.

Psssss

Pssss

Tentò di opporre resistenza ma a quel rumore così insistente venne aggiunto un improvviso fastidio al braccio. Qualcuno la stava toccando.

«Pssss» le fece ancora quella voce. «Sei sveglia?»

Berenice spalancò gli occhi innervosita, piantando le unghie nel materasso. Non era spaventata, perché sapeva fin troppo bene chi avrebbe trovato una volta messa a fuoco la stanza buia.

Ormai dormire tranquillamente era diventato impossibile in quel collegio. Si ritrovò ad un passo dal letto Artemisia, con una candela accesa in mano che le illuminava il volto. Quella solita fiamma bianca mandò bagliori in tutto il livello più basso.

Berenice si stropicciò gli occhi. «Cosa ci fai qui?» domandò, senza troppo entusiasmo.

Artemisia allontanò il braccio per posarselo bruscamente sulle ginocchia, su qualcosa che all'inizio Berenice fece fatica a distinguere visto il modo in cui era raggomitolato su sé stesso.

«Alla buon'ora!» tuonò Artemisia. «Hai idea di come russi la notte? È sconcertante che una ragazza possa emettere certi versi! Dovresti proprio contenerti!»

Berenice dovette far ricorso a tutta la sua buona volontà per non mettersi ad urlare. Nonostante fosse tutta dolorante, si mise seduta con una smorfia, appoggiandosi con la schiena alla pila di cuscini alle sue spalle, pronta per urlare a quella smorfiosa (con la quale, in teoria, era in una sorta di tregua forzata) di tornarsene da dovunque fosse venuta e lasciarla in pace... o almeno era questa la sua intenzione, prima che quella cosa pelosa raggomitolata sulle ginocchia di Artemisia si svegliasse di colpo.

«Oh cavolo» mormorò Berenice, osservando la sua piccola leoncina sbattere le palpebre assonnata. In mezzo al caos degli ultimi eventi, si era completamente dimenticata di lei.

Appena la leoncina la mise a fuoco, balzò sulle ginocchia di Artemisia, piantandole gli artigli affilati nella pelle e con uno scatto felino atterò sul letto. In un attimo, Berenice se la ritrovò addosso, in un miscuglio di versetti e guaiti simili a singhiozzi. Si sentì talmente in colpa, soprattutto vista la sua reazione, che sentì quasi l'impulso di mettersi a piangere con lei.

La sguatteraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora