«Si può sapere cosa diavolo ci fai tu qui?» Il suo tono adirato l'avrebbe fatta anche ridere... se non fosse che lei non avrebbe dovuto trovarsi lì. Berenice giocherellò con le punte dei piedi, visibilmente in imbarazzo senza sapere cosa dire. Per non sembrare ancor più patetica, decise di uscire allo scoperto.
Cercò di assumere un'aria disinvolta, mentre le scarpe affondavano nel terreno umido, e disse: «Una passeggiata. C'è così una bella giornata oggi...»
«Una passeggiata?» ripeté Paride. «Certo, perché passeggiare nella Vallata è il luogo più adatto, ovviamente. E immagino che la scelta di nasconderti dietro quell'albero fosse del tutto casuale, non certo per origliare, giusto?» La sua voce rauca e profonda, affaticata probabilmente dalla mancanza di controllo, arrivò tagliente alle sue orecchie. Berenice riuscì comunque ad assumere un'espressione indignata mentre esclamava: «Certo che no! Non mi permetterei mai.»
Ectore diede un colpo di gomito sul fianco di Paride. «Hai visto cosa ha tra le mani?»
«Fammi indovinare...» iniziò Paride. «Polvere? Devo forse ricordarti che questa è una...» Ma quando finalmente si spostò di due passi verso destra, anche lui vide chiaramente cosa Berenice tenesse tra le braccia. Il fatto che avesse la pelle abbronzata fu un chiaro segnale di quanto la cosa l'avesse sconvolto: divenne più pallido di un lenzuolo, e per un attimo sembrò smettere persino di respirare.
Berenice spostò il peso da un piede all'altro, a disagio. Forse pensavano che la creatura che teneva in braccio potesse farle del male? Certo, anche lei era rimasta un attimo sorpresa di fronte al leoncino. Non se ne vedevano di certo tutti i giorni dei leoni con le ali. Ma loro non dovevano essere abituati a quelle stranezze?
Berenice stava per rassicurarli sul fatto che fosse innocuo, ma Paride la precedette ancor prima che potesse aprir bocca. «Hai idea di cosa hai in braccio?» le domandò con una calma apparentemente letale, mentre Ectore continuava ad aprire la bocca e a tirargli dei colpi di gomito. Bastò un'occhiata di Paride per farlo rinsavire.
«È un albino, credevo fossero solo leggende,» biascicò Ectore. «Credevo che non esistessero i leoni albini.»
Berenice sentì il leoncino tremare leggermente. Se lo strinse ancor di più al petto. «Piantatela di fissarlo così e non avvicinatevi! Non vedete che lo state spaventando?»
«Spaventando?» ripeté Paride. Aveva i lineamenti talmente tesi da far paura. «Quello è un animale da guerra ragazzina e tu non hai alcun diritto di toccarlo.»
«Ma Paride, guarda come la guarda» continuò Ectore. «Sembra averla scelta.»
Ma Paride negò con ogni evidenza quella possibilità. Scosse il capo. «Lei è soltanto una sguattera.»
Berenice tentò di camuffare il fatto che non stesse capendo una sola parola di quello che stavano dicendo. Alzò il mento, pronta a replicare anche se non aveva idea di cosa dire, ma fu nuovamente interrotta da Paride, che sembrava sul punto di volerle saltare addosso. «Si può sapere cosa ci fai qui? Sei sempre in mezzo ai piedi. Te ne vai in giro sempre a combinare guai.»
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La sguattera
Fantasy1º libro della saga dei Regales La sedicenne Berenice è sempre stata una ragazza normale, con una vita monotona e terribilmente noiosa. O almeno se così si può definire essere orfana, vivere in un convento di suore, con un gatto parlante come unico...