Capitolo 18

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« Non ci posso credere

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« Non ci posso credere.» Dico accompagnata da una risatina nervosa.
« A cosa non puoi credere?» Chiede Elias.
« Al fatto che mi perseguiti, guarda caso da ogni parte che vado ci sei anche tu.» Prima al parco di notte, poi al luna park, sul taxi e infine qui.
E io che speravo di venire qui per smettere di pensare a lui.
« Non ti perseguito.» Ogni stalker direbbe così.
« Cosa ti porto da bere?» Mi chiede il barista.
« Due Martini e uno shot, il gusto decidilo tu.» Dico con poco interesse. Elias al mio fianco non commenta anche se ho visto il suo sguardo mentre ordinavo.
Bevo il mio martini e con i denti stacco l'oliva dallo stuzzicadenti.
Mi guardo attorno per non far posare il mio sguardo sulla sua figura.

« Lei è quella con la mamma morta.» Mi giro di scatto verso due ragazzi, una ragazza mora e un ragazzo con i capelli rossi, che mi stanno indicando.
« Avete qualche problema?» Mentali ne hanno tanti.
« No, le stavo dicendo che tua mamma è morta.» Dice il rosso.
« Minchia che tatto che avete per dire le cose in faccia alle persone.» Commento. Ci ho impiegato tanto tempo per superare la morte di mia mamma, non l'ho ancora superata del tutto, ma la maggior parte della sofferenza è finita, ora sto ritrovando sempre più la normalità, so per certezza che non potrò mai trovare la serenità, quindi mi accontento della normalità, di non piangere tutti i giorni, di smettere di vomitare tutto l'alcool che ho assunto, ma sentir parlare di lei è sempre una pugnalata al cuore.

« Non pensavo che sentissi.» Cerca di dire il ragazzo.
« Pensavi male. Dovreste imparare a farvi una manciata di cazzi vostri e lasciare in pace le persone.»
È come se mi avessero rimesso in mente la sua figura, ora non riesco a vedere altro che i suoi occhi azzurri che invidiavo tanto, i suoi capelli morbidi e il suo enorme sorriso, che illuminava le nostre giornate. Mi manca tanto, ogni giorno ripenso al fatto che se lei fosse qui, tutti staremmo meglio; papà non sarebbe così chiuso e così stressato, Tony avrebbe una mamma che lo porterebbe ogni giorno agli allenamenti di calcio e sarebbe la sua fan numero uno. Io, io avrei un'amica che mi da consigli su come vestirmi o su cosa scrivere ad un determinato ragazzo, una compagna di avventure, una spalla a cui appoggiarsi. Vorrei raccontarle quello che mi succede ogni giorno, quello che provo e quello che vorrei fare.

« Mi dispiace, non intendevo dirlo in quel modo.» Ribatte il ragazzo, la mora al suo fianco ha lo sguardo abbassato e non interviene.
« Lo hai fatto.» Lui prova a dire qualcosa ma Elias lo interrompe.
« Ora stai zitto e chiedi scusa.» Il ragazzo ammutolisce, il tono di Elias era normale, scandiva le parole perfettamente.
« Scusami.»
« Ripetilo con un po' più di sentimento. E dillo anche tu.» Indica prima il rosso e poi la ragazza.
« Scusaci tanto, non volevamo.» Dicono, Elias annuisce e si rigira verso il bancone. Io lo guardo cercando di capire perché ha fatto una cosa del genere.
« Perché lo hai fatto?»
« Devono imparare a farsi i cazzi propri, non possono dire una cosa del genere davanti a una persona che sta male.» Spiega senza mia guardarmi.
« Grazie.» Dico, lui questa volta si gira verso di me e mi osserva, credo che mi stia studiando, ma lo lascio fare, non ho voglia di litigare, non ho voglia neanche di parlare.
Ingurgito in poche sorsate il secondo Martini. Elias non ha ordinato niente, mi osserva bere senza dire una parola.
Bevo ancora e ancora, sperando che il volto di mia madre possa scomparire per qualche ora dalla mia mente.

Un'altra volta mia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora